La maxi-truffa alle pay tv. Piratare è da bannare. Rispettiamo la creatività
La vera notizia è nella nostra reazione dopo averla letta. Rabbia poca, indignazione ancora meno, più che altro sorpresa. E di quella sorridente, che ti fa dire: sono stati dei polli a farsi “beccare”. Nell'immaginario collettivo infatti chi naviga online senza rispettare le regole non è un vero “pirata”, al massimo puoi considerarlo un pilota estroso, uno smanettatore insofferente, per certi versi un creativo sopra le righe. Un principio ovviamente inaccettabile, da censurare, da bocciare senza se e senza ma, o per per usare un’espressione tipica della Rete, da “bannare”.
E se il no vale per i singoli “truffatori”, a maggior ragione va ribadito con forza quando si tratta di un autentico business illegale. Proprio il nostro caso. La Guardia di finanza infatti ha scoperto un’organizzazione clandestina che in Italia permetteva a circa cinque milioni di persone di accedere a tutti i canali delle principali piattaforme tv criptate, a costi bassissimi: 12 euro al mese.
Il particolare della cifra non va trascurato. Significa che chi ne usufruiva, sapeva perfettamente di essere nell’illecito, tanto da aver creato una vera “rete” parallela, dove far fluire i dati digitali, convertiti dai segnali tv, per farli viaggiare sui computer. E a utilizzarli non erano solo singoli ma perfino circoli privati, sale cinematografiche, hotel. Difficile quantificare i danni anche se, di sicuro, il calcio maggiore, che di diritti tv vive, paga all'illegalità diffusa un dazio pesante.
Per non parlare degli abbonati corretti, quelli che rispettano i contratti fino all'ultimo centesimo. A loro, secondo il principio dell’evasione fiscale, per cui si paga anche per chi non versa nulla, la pirateria costerebbe mediamente il 10% in più sul prezzo dell’abbonamento. Fin qui la cronaca. Basterà a far ricredere gli specialisti del perdonismo digitale? Non crediamo. Perché questa forma di indulgenza si fonda su un principio tanto sbagliato quanto radicato: che cioè si possa parlare di furto solo per qualcosa di concreto, che si può toccare. E la creatività, il frutto del lavoro intellettuale, l’arte, eccezion fatta per statue e dipinti, non lo sono. Siamo talmente invasi da immagini e notizie da aver smarrito la consapevolezza che dietro ci sia chi quelle notizie ha cercato e scritto, chi quelle immagini ha filmato e immortalato, chi quel video musicale ha interpretato e girato. Soprattutto, avvolti da una nebbia della coscienza che non ci fa vedere più in là di noi stessi, dimentichiamo che anche la libertà di informare e la ricerca della verità hanno un prezzo. Costa il lavoro certosino di scavo sotto le apparenze, la caccia a chi cerca di far perdere le proprie tracce, la protezione da quanti vorrebbero mettere a tacere le voci fuori dal coro. E le parole, questo bene fragile e preziosissimo che spesso usiamo malamente, hanno un senso solo se vengono abitate da storie, persone, sogni. Che si dev'essere in grado di raccontare, di far emergere, di assecondare. È attraverso il linguaggio che si creano relazioni, che si costruiscono le comunità, che si allargano gli orizzonti della tolleranza e dell’umanità. “Rubare” a chi quei territori indaga e condivide significa impoverire noi stessi e rendere ansimante il futuro che speriamo, vuol dire togliergli l’ossigeno.
La sfida allora, è quella di far capire che le informazioni e ancora di più le parole scritte o digitali che le compongono e le immagini che le accompagnano, contribuiscono a costruire la nostra identità, a disegnare il posto che occuperemo nel mondo, a renderci capaci di capire chi e dove siamo. “Piratare”, depredare le moderne piattaforme di scambio umano e culturale, non è quindi soltanto un reato, ma un delitto contro l’essere umano e la sua formazione, intellettiva, emotiva, spirituale. Le forze dell’ordine hanno chiamato la maxioperazione anti-frode di ieri “eclissi”. Una scelta perfetta. Nella speranza che l’'oscuramento”, la “sparizione”, il “venir meno”, della consapevolezza della posta in palio, sia parziale, temporaneo. Proprio come accade quando la luna si mette tra la Terra e il Sole. Un buio pesante, cupo. Ma di lì a poco torna, e piena, la luce.