Clima. Più energie rinnovabili subito la risposta contro le emergenze
Il Marecchia in piena, a Rimini
Siamo sotto shock in questi giorni perché abbiamo negli occhi le immagini dell’Emilia-Romagna sott’acqua. Solo qualche tempo lo eravamo per quelle dei letti di fiumi e laghi secchi e prima ancora per la tragedia dello smottamento del ghiacciaio della Marmolada. Le ondate emotive legate agli eventi climatici estremi che si susseguono sempre più celermente nel mondo e nel nostro paese (come ci ha ricordato l’editoriale di Antonio Maria Mira del 18 maggio) devono aiutarci a riflettere e a programmare soluzioni e vie d’uscita. La diagnosi scientifica è nota e non in discussione. Il riscaldamento globale della temperatura del pianeta dei mari tropicalizza il nostro clima e produce tre tipi di effetti in quantità crescente: ondate di calore, siccità ed eventi climatici estremi. La fragilità strutturale del nostro territorio, da sempre soggetto a rischio idrogeologico, amplifica l’impatto di questi ultimi e le responsabilità dell’incuria che ci ha portato a restringere alvei dei fiumi e cementificare zone ad alto rischio.
Premettiamo che, proprio nell’ottica di ecologia integrale per la quale l’enciclica Laudato si’ di Francesco è oggi la frontiera del pensiero politico e sociale riconosciuta da credenti e non credenti, non c’è nessun bisogno di mettere in contrapposizione la lotta al cambiamento climatico, con la tutela del lavoro e dei ceti più deboli e le politiche demografiche. Le interdipendenze globali sono tali che la crisi climatica non risolta porta a fondo tutto, alimentando la paura del futuro e di generare la vita e causando sempre maggiori costi sociali. Sembrano passati secoli da quando i gilet gialli contrapponevano la loro preoccupazione per la fine del mese con quella per la fine del mondo dei radical chic che si prendevano, a loro dire, il lusso di preoccuparsi dell’ambiente. In rapidissimo susseguirsi di vicende abbiamo sperimentato le connessioni sempre più strette tra emergenza ambientale e sociale e vissuto la crisi dell’agricoltura italiana stravolta dal cambiamento climatico, i danni delle alluvioni e l’inizio di un fenomeno affatto transitorio di migrazioni climatiche che secondo la Banca Mondiale spingeranno centinaia di milioni di persone a spostarsi dalle zone più aride (e progressivamente rese invivibili) del pianeta verso le sponde del Mediterraneo.
Per fortuna una via d’uscita c’è, è chiara ed evidente e il progresso tecnologico ci offre ogni giorno strumenti nuovi per percorrerla. Scrivendo “Rinnovabili subito” con due colleghi ingegneri abbiamo sottolineato l’ovvio. Dobbiamo (su questo tutti i paesi concordano) azzerare le emissioni nette climalteranti per frenare la crescita della temperatura. Grandissima parte del problema dipende dalle fonti di energia. Le fonti rinnovabili (eolico, fotovoltaico) producono da 100 a 200 volte meno CO2 di carbone, petrolio e gas. E ci consentiranno di uscire finalmente dalla nostra strutturale dipendenza energetica da paesi esteri che ha scatenato le due gravi ondate inflattive del dopoguerra (quella della crisi petrolifera di fine anni 70 e del gas dei nostri giorni). Non è vero che noi europei siamo i soli ad esserci incamminati su questa strada. Le politiche industriali più recenti di Usa e Cina rischiano piuttosto di precederci e metterci in secondo piano.
L'altra bella notizia è che i progetti per produrre energia da rinnovabili nel nostro paese abbondano. Da quelli delle grandi partecipate pubbliche, del sistema industriale, fino a quelli di comuni, parrocchie, semplici cittadini. Già oggi la rivoluzione silenziosa vede circa un milione di allacci che immettono energia rinnovabile in rete nel nostro paese. E questa rivoluzione non ha alcuna necessità di entrare in conflitto con il paesaggio, la nostra grande bellezza, perché basteranno ed avanzeranno a fare la transizione i tetti delle aree industriali attive e dismesse, quelli degli edifici lontani dai centri storici e delle pergole fotovoltaiche che generano effetti positivi sulle coltivazioni agricole senza sottrarre loro terreno. L’arca di Noè per portarci fuori dalla crisi (oggi più difficile da individuare perché più che un diluvio e un insieme di vari elementi di clima impazzito) esiste ma siamo capaci di salire a bordo? I veri minerali rari di cui dobbiamo temere la scarsità sono la saggezza delle nostre comunità risucchiate nel vortice di logiche di retroguardia. Dentro ogni partito, azienda, organizzazione esiste l’uomo nuovo capace di cogliere le potenzialità della transizione e l’uomo vecchio legato a logiche che sembrano più comode ma in realtà porteranno quell’organizzazione a fondo se non verranno abbandonate.
Acceleriamo le autorizzazioni dei tanti progetti sul tavolo (governando i processi), variamo i decreti attuativi delle comunità energetiche, definiamo a livello regionale le aree idonee, potenziamo il credito d’imposta sulla capacità installata dalle imprese se vogliamo accelerare e governare un processo comunque in moto e (per fortuna) inarrestabile. Per citare uno degli aspetti importanti del problema il governo italiano compete da tempo nell’emissione di titoli di stato green (i Btp verdi) che finanziano gli investimenti pubblici per la transizione ecologica. Se andiamo a leggere le 85 voci di spesa troviamo quasi 7 miliardi per mitigazione e adattamento, proprio su quelle partite di gestione del rischio idrogeologico e del problema dell’approvvigionamento idrico che abbiamo scoperto in questi giorni essere così importanti. Manutenzione e rafforzamento di dighe, acquedotti, invasi, cura del territorio possono e devono essere ulteriormente potenziati e razionalizzati se vogliamo evitare che una delle fonti più importanti della prosperità delle nostre famiglie, il valore degli immobili, perda immediatamente di valore per il fatto stesso di essere esposto a quei rischi che vediamo materializzarsi con sempre maggiore frequenza.
Il vantaggio/svantaggio rispetto ad altre epoche storiche nel quali le voci più sagge erano inascoltate è che il tempo è scaduto e siamo con le spalle al muro. Ma non è la fine del mondo, bensì la fine di un mondo dove avevamo pensato che la natura fosse una variabile indipendente mentre ora siamo costretti velocemente ad imitarla nella sua capacità di riusare e riciclare tutto senza creare scarti e scartati. Il problema non è più la direzione ma la velocità di marcia è quella adeguata per farcela. Dobbiamo procedere velocemente e con decisione perché le generazioni presenti e future ci chiederanno conto delle nostre azioni.