Il direttore risponde. Persecuzioni figlie anche di paura
Valter Bulanti
Capisco lo spirito della sua messa a punto, caro signor Bulanti. E soprattutto ne condivido l’intenzione, che giudico nobile. Ma parole dense di sofferenza come «cristianofobia» non nascono per caso o per imitazione. Lei si concentra sul significato di «fobia», paura. E ne contesta l’uso nel caso dei cristiani, ricordando che non martirizzano gli altri proclamando se stessi martiri, ma a imitazione di Gesù osano offrire – in molti modi, e persino col supremo sacrificio della vita – se stessi per gli altri... Vero. Ma bisogna intendersi sul senso del richiamo alla «fobia», alla paura. Per questo mi pare importante e utile ricordarle a mia volta che le persecuzioni, soprattutto quelle per motivi etnici e religiosi, hanno sempre per padre l’odio e per madre la paura. Ogni aspra intolleranza è la proiezione di una qualche presunzione di superiorità colma di timore. E le discriminazioni sono disumani steccati alzati da arroganti pavidi. Ci pensi. Pensi a quanta sprezzante e interessata "paura dell’altro" c’era nella follia nazista che ha prodotto l’immane tragedia della Shoah ebraica e il Divoramento di rom e sinti. Pensi a quanta ce n’era nel feroce sterminio degli armeni che intrise di sangue il tramonto dell’Impero ottomanno e l’alba della Turchia moderna. Pensi allo sterminio dimenticato di milioni di congolesi sotto Leopoldo II del Belgio, avvio di un dramma che ancora non conosce fine e si nutre di spietati razzismi tribali. E pensi che in tante parti del mondo e persino nella nostra Europa – dove la "paura delle radici" produce insultante evasività e arriva sino alla rimozione di parole, valori e spazi di libertà – ci sia una «fobia» verso i cristiani è, purtroppo, un fatto. Non è uno slogan o un’assonanza. Capire, caro amico, dove abita la paura, riconoscerla, denunciarla, chiamarla per nome al cospetto del mondo, è il passo necessario per sconfiggerla.