Il direttore risponde. Parliamo un po’ dei veri «irregolari»
Antonio Di Furia
La storia dell’emigrazione italiana è lunga e intensa, e non tutte le pagine sono belle e consolanti come quella che suo padre, caro signor Di Furia, e il suo datore di lavoro venezuelano hanno contribuito a scrivere, ognuno per la propria parte, alla metà del secolo scorso. Le vicende di coloro che, per decenni e decenni tra il XIX e il XX secolo, presero le vie del mondo partendo dalle nostre terre è largamente segnata da situazioni e condizioni simili a quelle di incivile sfruttamento che purtroppo si verificano anche nella nostra Italia e che sono state al centro della denuncia contenuta nel nostro articolo (uno dei tanti sul tema) e nella trasmissione Rai che lei ricorda. Aver memoria e consapevolezza di tutto questo non diminuisce la gravità delle ingiustizie oggi perpetrate ai danni di troppi poveri immigrati, ma l’accresce. La stragrande maggioranza degli italiani ha, infatti, nella libro di famiglia – e, dunque, per così dire, nel proprio Dna – almeno un capitolo dedicato all’emigrazione di una o più persone care. Anche per me è così. E anche per questo mi sento di dire che nessuno di noi può credibilmente sostenere di ignorare il significato umano della fatica di cercare futuro oltreconfine e oltremare. La vita e il lavoro di gran parte degli immigrati in Italia sono, del resto, alla luce del sole e nelle regole. Regole che riguardano ognuno di loro esattamente come riguardano ciascuno di noi, e che aiutano a superare l’idea stessa di "loro" e "noi". Tranne che su un punto: quando parliamo di «irregolari», dobbiamo ricordare sempre che in questa categoria di «fuorilegge» molto prima di "loro", i lavoratori sfruttati, viene quella brutta parte di "noi" che si fa forte della debolezza dello straniero, e che è rappresentata da coloro che abusano brutalmente di chi lavora. La magistratura e le forze dell’ordine non vanno perciò lasciate sole sulla prima linea della legalità che, spero sia ormai chiaro a tutti, è davvero l’altra faccia dell’accoglienza. E i mass media sono effettivamente in grado di dare un buon contributo. Noi andando in edicola di buon mattino. I programmi tv – condivido la sua amarezza, gentile amico – quando possono.