Il dibattito sulle nozze gay è un dibattito che in Italia, oggi, non dovrebbe neanche cominciare. Lo diciamo provocatoriamente, ovvio, ma con un fondato motivo. Non si tratta di negare alla politica la possibilità di interrogarsi sulle forme più adatte di tutela dei diritti (individuali) di qualunque persona, né di impedire a una parte della società di avanzare istanze e di battersi per vedersele riconoscere. Vogliamo solo dire che, pur nella libertà di coltivare opinioni diverse, nell’Italia di oggi c’è una banale e assai stringente priorità: il non-sostegno alla famiglia con figli. E invece l’impressione è che un Paese con la pancia vuota e vittima della carestia, in termini di politiche familiari, si stia mettendo a discutere di questioni di galateo. Per rendersene conto è sufficiente guardare le cartine dei giornali che ogni giorno illustrano l’avanzata dei cosiddetti “diritti civili” in Europa. Pur nell’abbondanza dei dettagli, c’è un’informazione fondamentale che quelle mappe non dicono mai: che i Paesi dove vige o sta entrando in vigore una qualche forma di riconoscimento delle unioni omosessuali, sono comunque Paesi lontani anni luce dall’Italia in fatto di sostegno economico alle famiglie con figli. Molto prima di mettersi a discutere di certi “diritti”, veri o presunti, quelle nazioni hanno affrontato e risolto assai meglio dell’Italia quello che dovrebbe presentarsi come il primo diritto fondamentale: sostenere, e non penalizzare, le famiglie che hanno figli da crescere e da educare.In Italia la spesa pubblica in rapporto al Pil per i nuclei con prole è la metà della media europea. Il nostro sistema fiscale riconosce solo un terzo del costo effettivo di ogni figlio a carico, ed è tra i meno generosi in assoluto verso i nuclei numerosi, se non addirittura punitivo. Avere figli in Italia espone a un maggiore rischio di povertà, e questo rischio cresce a ogni figlio che si aggiunge. Una famiglia su 4 tra quelle con tre o più minori vive in condizione di povertà. Non è un caso: il nostro sistema fiscale fa sì che al terzo figlio il rischio povertà salga al 28%. In una famiglia con 5 o più componenti questo rischio è addirittura superiore del 135% rispetto alla media. Nella “civile” Francia, invece, il sistema del “quoziente familiare” rende persino vantaggioso diventare genitori. Nella “avanzata” Germania lo stato di famiglia entra direttamente in dichiarazione dei redditi e il valore delle detrazioni per figli a carico è almeno il triplo del nostro. In questi Paesi, come nella stragrande maggioranza delle nazioni europee, la liberà di educazione è garantita e la scuola non statale è sostanzialmente gratuita. Nei “civilissimi” Paesi scandinavi i servizi per la prima infanzia coprono il doppio del bisogno rispetto al nostro Paese.Si potrebbe proseguire all’infinito nel tentativo di accendere un faro sul torto scandaloso, e anticostituzionale, che viene commesso ogni giorno in Italia ai danni delle famiglie fondate sul matrimonio tra un uomo e una donna e con figli (artt. 29 e seguenti della nostra Carta). Il dramma è che rischia di essere un esercizio vano. La politica – e la campagna elettorale sta accentuando il problema – si accontenta di importare slogan dall’estero, mentre continua a dimostrarsi incapace di dare un ordine sensato alle priorità e voce ai diritti elementari. La disattenzione è ancora più grave in un momento in cui la vera anomalia italiana rispetto al resto d’Europa, cioè l’irrilevanza degli aiuti alla famiglia in quanto tale, sta facendo i conti con una crisi del lavoro che ha assunto la dimensione della drammaticità. Quello di un fisco amico dei bambini dovrebbe essere il tema popolare per antonomasia, comprensibile a chiunque viva del proprio lavoro e paghi le tasse fino in fondo. E forse è proprio questo il problema in Italia. Così ci si trova a dover fare i conti con un diffuso distacco dai problemi veri del Paese vero di tanta parte del sistema mediatico e delle forze che hanno egemonizzato la cosiddetta Seconda Repubblica. Un distacco che risulta preoccupante, per come le politiche a favore della famiglia naturale faticano a trovare cittadinanza nel dibattito pubblico. La realtà è che nella bolla mediatica dirsi europei in tema di diritti che si presume facciano tendenza non costa nulla. Esporsi a favore di misure familiari “europee” concrete impone invece basi programmatiche ben più solide. E, soprattutto, richiede coerenza. Perché le famiglie italiane sono stanche di essere sistematicamente snobbate o illuse. Dopo queste dosi d’urto di surreali baruffe, è troppo chiedere alla politica di occuparsi prima di tutto della dolente realtà?