L'analisi. Nella crisi demografica cinese la frattura tra popolo e Partito
La trasformazione sociale può spiegare la difficoltà nel raggiungere gli obiettivi voluti da Pechino. Dopo anni di politiche di contrasto alla natalità, nel grande Paese asiatico la richiesta di avere più figli e le misure messe in campo non riescono a produrre l’effetto desiderato.
È una ritirata strategica da vecchi modelli di sviluppo che rischia di compromettere la definizione di nuove prospettive, quella che sta compiendo la Cina sulla demografia. Il grande Paese asiatico non riesce a raccogliere i frutti dei molti tentativi di rilancio delle nascite messi in atto per arrestare l’emorragia di braccia e di menti e promuovere uno sviluppo adeguato, soddisfare la volontà egemonica, mantenere saldo il potere del Partito comunista. Tre pilastri di stabilità che, se infiltrati dal dubbio o dalla crisi, potrebbero portare a un crollo del sistema.
Non hanno dato frutti la decisione di porre fine dal 2016 alla quarantennale 'politica del figlio unico', con la concessione di due figli a coppia e poi con l’apertura da quest’anno alla possibilità di una prole senza quasi limitazioni (e sanzioni). E nemmeno sembrano funzionare la limitazione della maternità surrogata, i vincoli posti alla ricerca di figli (e mogli) all’estero, o le difficoltà messe alle richieste di sterilizzazione. Quanto all’appello lanciato lo scorso settembre di limitare le pratiche abortive «non necessarie sul piano medico», potrà forse funzionare sul piano della moralizzazione imposta dal presidente della Repubblica e segretario del Partito comunista, Xi Jinping, ma difficilmente si rivelerà determinante ai fini del rilancio demografico.
I dati riferiti alla provincia di Anhui, non tra le più sviluppate o popolose, sono emblematici. Qui le nascite hanno raggiunto a ottobre le 530mila unità, ufficialmente la metà di quelle del 2017. Al netto delle pressioni che i governi provinciali esercitano su quello centrale per avere più sovvenzioni e maggiori investimenti per rilanciare le nascite, la situazione è indicativa di come Pechino fatichi a raggiungere gli obiettivi demografici, dopo di decenni di repressione della volontà delle coppie cinesi di avere i figli desiderati. I risultati del Censimento decennale del 2020 pubblicati lo scorso maggio, con un ritardo sospetto – ma a detta di molti funzionale a una gestione dei risultati più in linea con le politiche governative – avevano mostrato il più basso tasso di crescita della popolazione dagli anni Sessanta. L’Annuario statistico 2021 ha confermato come nel 2020 la Cina abbia toccato il punto più basso dal 1978 (inizio della diffusione dei dati demografici), ma anche dalla nascita della Repubblica popolare, nel 1949: 8,52 nascite ogni 1.000 abitanti è un dato in forte contrazione anche rispetto ai 10,41 bebè del 2019. L’imposizione di un 'periodo di ripensamento' di trenta giorni imposto lo scorso anno alle coppie intenzionate a divorziare, spiegherebbe invece il calo delle separazioni definitive, ma di fronte al drastico calo dei matrimoni (8,14 milioni, con pochi limiti dovuti alla pandemia), la misura assume poco rilievo.
Un'espressa conferma, dirompente perché apertamente al quotidiano di Hong Kong South China Morning Post, è arrivata poche settimane fa da James Liang, noto demografo ma anche abile imprenditore, fondatore della piattaforma online Trip.com, specializzata in viaggi. Secondo Liang, la popolazione cinese avrebbe raggiunto già quest’anno il suo picco, con 1,4 miliardi di persone, e dunque andrebbe incontro a una sensibile caduta negli anni a venire. Una crisi «che si è verificata molto prima del previsto», e che spiegherebbe almeno in parte le politiche proposte con urgenza sul piano economico e sociale. Una domanda sorge spontanea: quale credibilità possono avere dati ufficiali che sono diffusi più per avallare le politiche di Pechino che per dovere di informazione? A quanti e quali di questi dati hanno realmente accesso i cittadini cinesi? Una stima di Bloomberg, ad esempio, suggerisce che un computo errato delle nascite nel decennio 2000-2010 sarebbe alla base di alcune discrepanze rispetto agli annuari statistici da cui emergerebbero almeno 11,6 milioni di nascite non considerate.
Presenti, ma poco riconosciute, sono le contraddizioni delle politiche a sostegno di welfare, occupazione, sviluppo, uguaglianza. Un esempio riguarda il ruolo delle donne. L’'altra metà del cielo' del Mao-pensiero, mai venuto meno, continua ad avere un ruolo subordinato nella società cinese, prima vittima delle politiche demografiche perseguite per decenni. L’Annuario statistico mostra come il governo e il partito stiano proponendo un’agenda che, tra le altre cose, richiede alle donne solo un ruolo di mogli e madri, in un tempo in cui le priorità sono profondamente cambiate. Un altro esempio è nella promozione del 'benessere condiviso', centrale nello Xi Jinping-pensiero e promosso a 'ideologia' di Stato nel recente Plenum del Comitato centrale del Partito comunista, in attesa di essere immortalato nel Congresso del Pcc tra un anno. Ma chiedere ai cinesi di avere piena fiducia in una leadership che percepiscono come autoreferenziale, mentre in una vasta area del sottobosco politico si diffondono corruzione e abusi, è come pretendere che il mercato immobiliare, che sta implodendo, si regoli da solo dopo che interi agglomerati urbani cresciuti attorno alle fabbriche del miracolo economico, oggi dismesse, sono diventati città fantasma, disertate da quella classe media che oggi più di altre si sente sotto pressione e impoverita.
La volontà politica (e di potere) espressa dalla leadership del Partito continua a mancare gli obiettivi che essa stessa propone. Non perché siano espressi malamente o malamente applicati, ma perché appaiono sostanzialmente indirizzati a garantire il potere. Quello che la popolazione sembra fare non è tanto opporsi alle direttive, ma ignorarle o aggirarle nella prassi quotidiana. È in questa chiave che l’obiettivo del rilancio demografico risulta perdente. Non solo per gli eccessi e le ambiguità delle misure proposte, ma anche perché non sembrano tenere conto del disinteresse ormai diffuso delle nuove generazioni, dopo decenni di pressioni contrarie, verso il matrimonio e l’idea di una famiglia con figli, in particolare di fronte alle preoccupazione di avere un reddito e un benessere adeguati.
La linea di frattura tra leadership e società si esprime bene nella dinamica negativa della questione demografica. Questo spiega la posizione sicuramente non originale, ma sintomatica, espressa da un internauta cinese attraverso Weibo, il Twitter cinese, dove questi temi sono dibattuti con termini non immediatamente censurabili: «Penso che avere un gatto sia difficile. Figuriamoci sposarmi e avere figli!».