Nella Giornata della memoria. Il gambiano suicida, l’indifferenza: ecco chi era Pateh
Il giovane Pateh
Caro direttore,
non riesco a togliere questa immagine dai miei pensieri. Il video della morte per annegamento di Pateh Sabally mi perseguita. Pateh è scomparso domenica nelle acque lagunari del Canal Grande a Venezia sotto gli occhi indifferenti delle persone che hanno assistito alla scena e che, in alcuni casi, hanno trovato il tempo di girare video per riprendere la tragica fine di una vita umana. Pateh Sabally veniva dal Gambia, era sbarcato a Pozzallo due anni fa e aveva solo 22 anni.
Cinque di questi video sono attualmente al vaglio della Procura e in alcuni si sentono grida, commenti razzisti da cui non traspare alcuna empatia verso un ragazzo che si è gettato nelle acque fredde del Canal Grande in una domenica pomeriggio affollata dai turisti. Cerco di ricostruire questa storia nei dettagli, dopo aver letto anche le considerazioni che su questo giornale hanno svolto prima Alessandro Zaccuri e poi il viceministro degli Esteri, Mario Giro.
Pateh era un ragazzo giovanissimo, aveva ricevuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari che poi gli era stato ritirato. Mi accorgo tristemente che su molti articoli non viene nemmeno riportato il nome. Viene etichettato come 'migrante', 'profugo'. Essere umano, dico io. Un essere umano che ha perso la speranza a tal punto da decidere di lasciarsi morire in acqua. Tutto avviene in pochissimo tempo.
Dai video risulta che Pateh Sabally si sia buttato in acqua, quindi si sia tolto il giubbotto. Il giovane volontariamente finisce sott’acqua con la testa, poi riaffiora. Vedo il vaporetto molto vicino, qualcuno lancia dei salvagenti in acqua: Pateh ne viene quasi circondato, le sue mani sono molto vicine ai salvagenti ma non li raggiungono e pian piano vengono sommerse dall’acqua mentre il corpo affonda. Il marinaio apre il barcarizzo per un ultimo, disperato tentativo di salvare il giovane. Tutto inutile.
In quel momento Pateh finisce sotto il vaporetto e non riemerge più. Una fitta mi trapassa il cuore. Immaginare la scena dei sommozzatori che recuperano il corpo incastrato fra i pali per ormeggiare le gondole mi indigna profondamente e mi interroga sulla nostra stessa umanità.
Provo un’enorme tristezza nel costatare come siamo divenuti indifferenti nei confronti delle altrui vite. Che questa persona anneghi sotto gli occhi di tutti senza che nessuno si tuffi per aiutarlo mi sembra assurdo e incredibile allo stesso tempo. Mai avrei potuto immaginare che nel mio Paese un giovane ragazzo, salvatosi dal terribile viaggio attraverso il deserto e il mare, dovesse morire d’indifferenza e disperazione sotto gli occhi di centinaia di persone incuranti.
Mentre cerco di capire qualcosa in più della vita di Pateh penso ai suoi genitori, parenti, amici, penso all’impegno di chi ogni giorno si adopera per salvare, integrare, accogliere, curare e nutrire chi arriva sulle nostre coste sperando in un futuro migliore. Sono molte le domande che mi assalgono alle quali non riesco a trovare una risposta: e se fosse stato italiano? O anche semplicemente bianco? La sua pelle ha giocato un ruolo nella mancata reazione di chi osservava? Di certo ha scatenato alcune frasi razziste difficili da digerire o giustificare. Credo sia necessario riscoprire la misericordia, la fratellanza universale, l’empatia che oltrepassa ogni barriera e ci fa riscoprire la nostra vera essenza di uomini e donne che condividono speranze, sogni, paure, desideri e che pertanto non possono rimanere indifferenti alla sofferenza di chi gli sta accanto.
Oggi (ieri, ndr), mentre scrivo, si celebra la Giornata della Memoria per ricordare la tragedia dell’Olocausto perpetrato dai nazisti nel silenzio anche dei Paesi europei che fingevano di non vedere, di non sapere. Ma che senso ha ricordare un passato di cui non riusciamo a riconoscere le minacce che ritornano? Che senso ha piangere ascoltando una testimonianza di un sopravvissuto ai lager e ignorare il dolore silenzioso di Pateh Sabally che si sente così disperato da lanciarsi nelle acque gelide della laguna da cui nessuno lo salva? Forse sarebbe bastato solo un abbraccio, una parola amica, un gesto di umanità per consolare Pateh, ma questo non lo sapremo mai perché ora lui non c’è più.
*Co-fondatrice e Direttrice MOAS www.moas.eu