«Interrompere una gravidanza dovrebbe essere considerato un evento comune, perfino normale, nella vita riproduttiva di una donna. Proprio come avere un figlio». Questa frase della scrittrice statunitense Katha Pollitt campeggia sulla copertina del numero 1.078 dell’ "Internazionale" accanto alla foto di una donna, dal volto di ragazza. La giovane indossa sopra i jeans una maglietta nera con una scritta bianca: «
I had an abortion» (ho abortito).A prima vista potrebbe avere tutte le carte in regola per sembrare un manifesto pro-aborto. Ma non lo è. È piuttosto il manifesto di una riduzione. La riduzione del corpo a organismo, la riduzione della donna alla sua componente biologica.
Vita riproduttiva, ecco il termine centrale e determinante. La donna sarebbe quindi un organismo che nasce, cresce, si riproduce (o non si riproduce) e muore, un organismo per cui sarebbe uguale far nascere un figlio oppure eliminarlo. Esattamente come una gatta, una mucca o una nutria per le quali immaginiamo che nascita o aborto non siano eventi accompagnati da particolari affetti, ma solo dalle contrazioni ritmiche dei muscoli, l’accelerazione del battito cardiaco e l’aumento della frequenza respiratoria. Ecco la donna ricacciata in una presunta animalità, privata del suo pensiero, ossia della sua anima, del suo spirito, buona per un documentario del National Geographic. Questo processo di normalizzazione – in realtà di banalizzazione – riduce ciò che invece può costituirsi come evento nella vita della donna. Non solo non è "normale" abortire, non è affatto "normale" nemmeno avere un figlio. Non c’è assolutamente nulla di scontato. Avere un figlio rappresenta un evento eccezionale, che può accadere o no sia per volontà della donna sia per condizioni naturali, un evento tuttavia che si accompagna sempre a riflessioni e affetti intensi, a paure e desideri, a speranze e angosce. Altro che "comune" e "normale".Le donne non hanno una vita riproduttiva, hanno una vita e basta. A volte difficile, ma sempre intensa, mai banale. In essa si danno accadimenti diversi che riguardano il loro corpo, un corpo vivificato e umanizzato dal pensiero capace di provare a realizzare i desideri, identificare i problemi e cercare delle soluzioni.Katha si sbaglia. Una donna non è mai una nutria, qualunque cosa faccia. Una donna è un soggetto che pensa e che vive accordando il suo moto, secondo la forma di questo pensiero, in modo da stare bene ed essere felice assieme alle persone che incontra, che sceglie e che ama. Questa, se vogliamo, la possiamo chiamare normalità.