Le scelte sulle armi. Ma il sogno europeo era e resta un altro
L’aggressione russa all’Ucraina ha oggettivamente sconvolto le agende politiche delle democrazie occidentali. Da una doppia emergenza, quella climatica e pandemica, si sta scivolando nei fatti verso un’altra emergenza legata alla difesa e alla sicurezza nel cuore dell’Europa (ma anche in Estremo Oriente). Proprio la lezione della pandemia può, però, aiutare ad affrontare il nuovo scenario valorizzando e non minando la sostanza del 'metodo democratico'.
È cioè possibile raggiungere obiettivi individuati come prioritari nell’ambito delle alleanze internazionali senza sacrificare il dialogo, la trasparenza, l’ascolto attento di tutte le istanze provenienti dai Parlamenti, dalle comunità, dalle parti sociali e politiche. Lo abbiamo imparato nella prova del Covid, appunto: dopo lo choc iniziale che ha portato all’assunzione, saltando spesso le ordinarie mediazioni istituzionali, di misure salvavita prima nemmeno ipotizzabili, si è via via trovato il modo di decidere in modo veloce, ma senza eccedere nelle misure e dosando le energie.
Una lezione che può tornare utile ora che, sul piano interno, ci si trova di fronte a nuovi bivi che interrogano le coscienze. Il tema lacerante del riarmo, e del raggiungimento del 2% del Pil in spesa militare concordato in sede Nato, non merita di essere affrontato, sia in sede europea sia nel nostro Paese, assumendo posizioni strumentali. Democrazie mature sono in grado di affrontare un tema sensibile e complesso andando oltre il 'va fatto perché va fatto' e non limitandosi a un pacifismo- solidarismo a intermittenza, che si riaffaccia nei partiti solo quando appare conveniente.
Si può fare di più, si deve fare meglio. Lo scontro Draghi-Conte, anche per la caratura delle due personalità, può uscire da questa strettoia e da questo muscolarismo da precrisi. Per capirsi: non è su un tema di così ampio impatto (soprattutto sulle finanze pubbliche) che il premier in carica deve battere i pugni sul tavolo; non è su un tema che impatta sulla dimensione internazionale del Paese che un ex premier può impostare il recupero di consensi della sua parte politica.
Proprio quel 'no' forte pronunciato da papa Francesco al riarmo europeo e globale, parole che sia Draghi sia Conte hanno accolto con «gratitudine » (per quanto il primo voglia accelerare sulla soglia del 2%, e il secondo abbia dato una sostanziosa spinta all’obiettivo Nato durante i suoi mandati), esige che innanzitutto ci sia un dibattito vero, trasparente e aperto, e che comunque si conservi il ruolo proprio della politica nel definire non solo le scelte di fondo, ma anche il 'cosa' e il 'come' che sostanzia le scelte, senza eccessi di delega ad altri luoghi decisionali troppo lontani dalle sedi parlamentari.
Ciò dovrebbe avvenire facendosi carico, con onestà intellettuale, di un dato di prospettiva etica e politica che non può non rattristare tutti, a prescindere dalle posizioni di parte: questa Europa che si divide costantemente su tutto – dall’accoglienza dei migranti alla sicurezza energetica alla stessa azione di politica estera – si ritrova compattamente unita nel desiderio di avere più armi e più 'deterrenza', ma per la gran parte ognun per sé. Soldi in armi e soldati dei singoli Stati subito; difesa comune (più efficiente e meno costosa) domani, forse. Nessuno può avere dubbi sul fatto che quali che siano, infine, per convinzione o per necessità, per mediazione o per sfida, le scelte compiute dall’Italia e dagli altri Stati della Ue, il sogno europeo era e resta un altro.