Logica carismatica /3. Liberiamo i figli dai demoni
Nella nostra analogia tra comunità carismatiche attuali e la prima comunità cristiana, oggi guardiamo da vicino un noto episodio del Vangelo di Marco: «Partito di là, andò nella regione di Tiro. Entrato in una casa, non voleva che alcuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto. Una donna, la cui figlioletta era posseduta da uno spirito impuro, appena seppe di lui, andò e si gettò ai suoi piedi. Questa donna era di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: "Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini". Ma lei gli replicò: "Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli". Allora le disse: "Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia" » (7,24-30). Marco ci dice che Gesù si trovava in terra pagana (Tiro) non per evangelizzare, ma viene rintracciato da una donna siro-fenicia che le chiede la guarigione della figlia. Il dialogo tra i due riflette un problema, molto importante, delle prime comunità, cioè il legame tra la nuova comunità cristiana e i non-ebrei (o gentili); un tema immenso, che attraversa tutto il Nuovo Testamento, come tensione mai del tutto risolta.
Anche questa volta, come con l’indemoniato di Gerasa (Mc, 5), un pagano viene incontro a Gesù, non è quindi cercato da lui. Da qui il primo messaggio: Gesù non si era recato in quella regione con lo scopo di fare miracoli né di evangelizzare. Quella donna gli càpita, e pone Gesù di fronte a una scelta. La tradizione dà nome a queste due donne: la madre Husta, la bambina Bernike (Pseudo-Clemente, Omelie) – molta tradizione cristiana ha donato nomi agli anonimi personaggi dei Vangeli, continuando così l’amore che Gesù aveva per essi. La frase che Gesù pronuncia di fronte alla richiesta di una madre appare, ancora oggi, molto dura. Chiamare cani i non-ebrei (o "cagnolini", che comunque non era un vezzeggiativo), sebbene fosse linguaggio comune al tempo di Gesù, oggi ci disturba, anche se a dirlo è Gesù. Evidentemente siamo di fronte ad un passaggio che risente molto delle accese dispute del tempo. Ma un messaggio importante lo possiamo sempre leggere tra le righe: non tutte le parole della Bibbia, neanche tutte le parole dei vangeli possono essere usate oggi da noi per dire le nostre parole più buone. Ce ne sono alcune che, figlie del loro tempo, sono state nei secoli cristianizzate dalla storia irrorata anche dall’evento cristiano, rendendo "più cristiane" le stesse parole dei Vangeli. Grazie allo sviluppo dell’umanità e grazie alla maturazione delle parole di Gesù nella Chiesa e nella storia, noi oggi non useremo più "cani" per descrivere persone di altre fedi. Anche il Vangelo, anche le parole di Gesù sono state fatti migliori dalla storia fecondata dalla rivelazione, al punto di dimenticarne alcune – foss’anche solo questa. La Bibbia contiene molte parole che sono migliori delle nostre parole. La storia fecondata da quelle parole migliori ci ha resi nel tempo capaci di migliorare altre parole bibliche che nel frattempo non erano più all’altezza della civiltà che il Libro aveva generato.
Un giorno mia nipote Beatrice lesse per la prima volta in un quadro di casa la motivazione della medaglia d’oro "premio della bontà" che sua madre aveva ricevuto da bambina. In quel testo c’era dentro l’espressione "compagno di scuola handicappato". Beatrice lanciò una specie di urlo, perché la parola handicappato per lei era una sorta di parolaccia. Una generazione era stata sufficiente per far passare una parola già buona tra le parole sbagliate. Qualcosa del genere accade anche con le parole bibliche, che sono state fatte più belle dall’umanità migliorata dalla linfa spirituale della stessa Bibbia. È questa una delle meravigliose leggi della storia. Ed è molto probabile che questa stessa storia porterà tra qualche decennio ad aumentare il numero delle parole dei Vangeli che lo spirito evangelico di domani supererà. Per qualcuno questo superamento rappresenta una brutta notizia; in realtà mostra la misteriosa reciprocità che esiste tra la parola di Dio e le nostre parole: sono figlie della Parola, ma, come tutti i figli buoni, se non diventano anche padri e madri dei loro genitori finiscono per diventarne assassini o, ed è lo stesso, a dimenticarli nell’indifferenza. "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno"; ma tra le parole che non passano ce ne sono alcune che noi, grazie al Vangelo capiremo che non potremo usare se non vogliamo tradirlo.
E se non possiamo usare neanche tutte le parole della Bibbia e neanche tutte le parole di Gesù per dire le nostre cose buone, allora a fortiori le comunità carismatiche non possono né devono usare tutte le parole dei loro fondatori. La saggezza di ogni generazione di membri di una data comunità spirituale sta anche, e in certi passaggi soprattutto, dal sapere individuare quali parole usare e quali non usare, pur custodendole tutte nella tradizione (come ha fatto la Chiesa). Ma mentre le parole di Gesù che la stessa maturazione del cristianesimo ci ha insegnato a non usare più sono davvero pochissime, le parole dei fondatori che non si devono usare più nelle generazioni successive sono invece molte. Qui l’ordine si inverte: le parole "eterne" sono poche e quelle che attendono di essere superate sono molte. E quando una comunità non distingue e considera tutte le parole di ieri dotate dello stesso valore carismatico, questa comunità finisce, senza volerlo, per far invecchiare velocemente tutte le parole dei suoi inizi. Le parole teofore, inoltre, sono sale nella massa di tutte le altre parole. Non esiste un criterio per individuare quali sono queste parole-sale, e quasi sempre sbagliamo quando proviamo a riconoscerle, perché ne lasciamo alcune di sale nella massa e viceversa. Ma l’errore davvero mortale è non tentare questa operazione, e combattere chi la tenta. Sapendo, infine, che sale e massa insieme fanno il pane buono, ma solo nella giusta combinazione.
In quell’episodio evangelico c’è molto altro ancora. Gesù ha cambiato idea grazie agli incontri che ha fatto lungo le sue strade. La strada, dimensione essenziale della sua missione, non è sfondo ma contenuto del suo paesaggio esistenziale, gli ha insegnato cose nuove. Qui incontra una donna, che parla della sua bambina malata, e grazie a quella donna pagana con cui entra in dialogo, Gesù scopre una nuova dimensione della sua missione: l’universalità. Cambia idea. L’insistenza di una donna gli fa cambiare idea. Non abbiamo buone ragioni esegetiche per pensare che questo racconto sia stato composto da Marco, e quindi non risalga alla tradizione orale antica. E allora se anche il Figlio dell’uomo ha cambiato idea dialogando con la sua gente, allora il dialogo deve far cambiare idea anche a noi, e il non cambiare mai idea non è buon segno cristiano.
La prima risposta che Gesù dà alla donna è una affermazione di buon senso, è parte del diritto naturale di ogni civiltà: non è etico sfamare i più lontani se non si è prima sfamato chi è vicino, occuparsi degli altri senza avere ancora risolto i problemi della famiglia. È la prassi del buon padre di famiglia, delle madri, delle comunità, di chi non sfama chi è fuori se non riesce a sfamare chi è dentro, di chi non dà un denaro in elemosina se con quel denaro deve comprare il necessario per un figlio. Eppure Gesù, nel Vangelo di Luca, narrerà la parabola del Buon Samaritano, costruita esattamente sulla tesi opposta a questa del buonsenso: il prossimo non è il vicino (i vicini della vittima erano il sacerdote e il levita), e il dovere di amare il prossimo non segue la gerarchia della vicinanza affettiva o naturale. Quella donna pagana, anche se non lo sapeva, stava raccontando a Gesù la parabola del buon samaritano. E Gesù si lasciò convertire dal suo Vangelo raccontato da una madre.
Il Vangelo e, poi, la Chiesa sono strapieni di persone che si convertono alle parole di Gesù: in questo racconto è Gesù che si converte (cambia sguardo) alle parole di una donna pagana. E continua a farlo lungo la storia, tutte le volte che il suo Vangelo si è convertito, attraverso i secoli, alle parole di donne e uomini, che, cristiani e no, hanno spiegato alla Chiesa il suo stesso Vangelo, con parole che parlavano di diritti umani, di rispetto, di uguaglianza, di fraternità. E qualche volta la Chiesa ha imparato, si è convertita al suo Vangelo che è diventato "più cristiano" grazie a quelle parole in terra "pagana". La Chiesa non avrebbe detto le parole che oggi dice sulle donne senza il movimento femminista che, a volte da fuori di essa, le ha ricordato Paolo: "Non c’è né uomo né donna", e glielo ha spiegato. Molti economisti cristiani non avrebbero capito cosa è oggi la povertà senza il magistero laico di Amartya Sen e Muhammad Yunus. È la splendida reciprocità terra-cielo di cui ci parla l’umanesimo biblico, dove l’uomo impara il cielo da Dio e Dio impara la terra dagli uomini e dalle donne.
Le comunità scoprono il proprio carisma incontrando la gente lungo le strade, soprattutto nelle strade al di là dei confini. Se leggiamo le loro storie più belle, ci accorgiamo che quasi sempre i fondatori hanno capito cose nuove, a volte opposte a quelle che credevano all’inizio, incontrando persone concrete, che gli hanno ricordato e svelato il loro stesso ideale. Hanno compreso dimensione nuove del loro carisma perché qualcuno ha raccontato loro parabole del buon samaritano, prima che fossero scritte. E le comunità continuano a essere altrettanto vive e generative se continuano a farsi convertire dalla gente che incontrano per strada, se sono capaci di cambiare idea anche quando queste conversioni sembrano portarle lontano dalle parole dei primi tempi, incluse le parole che erano state già frutto delle conversioni dei fondatori. Le comunità invece muoiono, o declinano, perché smettono di incontrare le madri siro-fenice al di fuori dei loro confini, o perché, semplicemente, non escono più di casa. Per paura di ascoltare le storie sbagliate e tradire le radici, non ascoltiamo nessuno e tradiamo il futuro. Le comunità avrebbero solo bisogno di figli capaci di amare i ’padri’ aiutandoli a diventare più grandi delle loro parole, vivendo con loro quella reciprocità tra uguali che in vita non hanno quasi mai conosciuta. Chissà quante donne "pagane" ci stanno narrando oggi parabole evangeliche, e noi non lo sappiamo. E i demoni non lasciano dormire i nostri bambini: «Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato».
l.bruni@lumsa.it