Opinioni

Il ministro e le guerre puniche. L'esempio sbagliato per un richiamo giusto

Ferdinando Camon sabato 27 novembre 2021

Il ministro Roberto Cingolani ha fatto una pubblica dichiarazione contro l’eccesso di cultura classica nelle nostre scuole e la carenza di cultura tecnica. Potremmo essere d’accordo. Io, che ho sempre insegnato cultura classica, anche nelle scuole tecniche, potrei essere d’accordo. Ma il ministro ha citato un esempio preciso di una materia che s’insegna troppo, e ha parlato delle guerre puniche. Ha detto: «Non serve studiare quattro volte le guerre puniche». Dunque ce l’ha contro le guerre puniche, che da noi, dice, sono studiate troppe volte. Intanto le volte non sono quattro, ma tre: dove ha trovato la quarta volta, il ministro?, e poi, e soprattutto, perché cita proprio le guerre puniche?

Non vorrei che per lui fossero l’esempio principale di un tema futile e sovrastimato, che dunque dev’essere studiato e conosciuto meno. Se il ministro la pensa così, non sono più d’accordo con lui. Evidentemente, lui non ha avuto la fortuna di trovare al liceo un professore che gli spiegasse lo scontro finale tra Roma e Cartagine con le parole che ha usato il mio. Il mio era un insegnante estroso. Usava espressioni che poi, all’università (io ho fatto Lettere) non ho più sentito. Una la usò proprio per le guerre puniche. Roma a noi è raccontata da storici veritieri, come Tacito, e da storici menzogneri, come Livio. E da altri, minori. Uno dice che prima di Zama (in realtà la battaglia avvenne in un villaggio vicino, chiamato Naraggara) il comandante romano parlò all’esercito riunito: «Il nemico metterà in prima fila animali enormi, che noi non abbiamo. Se vi fermate a combattere quegli animali, perderete e morirete. Perciò lasciateli passare. Voi correte dietro. Dietro c’è la fanteria: combattete quella». Così fecero i soldati, e fu una vittoria. Il nostro professore commentava: «Se il comandante romano non avesse avuto quell’idea, noi qui, oggi, parleremmo arabo». E il mezzo mondo che oggi parla lingue neo-latine parlerebbe lingue neo-arabe. Ministro, non le sembra un fatto rilevante? da studiare tre volte nei tre ordini delle nostre scuole? A volte mi fermo, quando scrivo o leggo un libro, e penso a cosa ne sarebbe di me, se pensassi e scrivessi in arabo o giù di lì. Non significa che penserei e scriverei migliore, ma che sarei diverso, in tutto, nel mio conscio e nel mio inconscio, anche nei miei sogni, visto che Lacan dice che «il sogno è strutturato come un linguaggio».

Ciò detto, resta vero che dovremmo insegnare di più la cultura tecnica. Sapere il latino e il greco ci aiuta a sentire in una parola il senso che ha adesso e il senso che aveva prima, il che vuol dire capire e parlare meglio. Ma non ci insegna a fare, ci insegna a usare la lingua e non le mani. E le mani sono importanti.

Ho insegnato in scuole classiche, avevo un’auto vecchia che si rompeva spesso. Gli studenti classici non me la riparavano mai, non sapevano farlo. Ma negli istituti tecnici gli bastava l’intervallo per metterla a posto: tornavo e l’auto ripartiva come un fulmine. Sì, le scuole classiche sono belle. Ma le scuole tecniche sono pratiche, e non ti fanno andare a piedi.