Il Venerdì Santo di Cristo e di noi tutti. La vergogna e l'ascolto
Chi grida? È Gesù, quello che grida. E gli altri? Gli altri non gridano più, spettegolano sull’evento, scendendo dall’altura o passando lontano. I suoi sono ammutoliti, letteralmente. Dopo aver farfugliato qualcosa, per mascherare l’imbarazzo (anche Giuda lo fa), non hanno più parole. Ci vorranno le donne a svegliarli, annunciando che, dopo quel grido, e il silenzio mortale che ne affievolisce l’eco, sta succedendo qualcosa di inaudito.
Noi siamo diventati molto civili, non gridiamo a Dio. Quando alziamo la voce, come nei dibattiti televisivi, o allo stadio – spesso due varianti dello stesso fenomeno – non lo facciamo certo per farci ascoltare da Dio.
Il grido di quelli che soffrono davvero sembra diventato muto, come l’urlo di Munch. Chi lo ascolta? Si sono rassegnati, lo convertono in un gemito e poi neanche più quello. Le nostre società – forse anche le nostre chiese – hanno problemi di udito.
Certo le grida delle proteste le sentono, e cercano di rispondere con le grida delle promesse. Niente da dire, meglio che niente. Ma è ancora uno scambio di voci fra i salvati, non è l’ascolto dei sommersi. Molti uomini, donne, bambini, piegati dall’avvilimento e crocifissi dal risentimento, hanno fiato per un solo grido.
Se ci perdiamo quello, sono persi. Ma anche se lo sentiamo e passiamo oltre. Il grido di dolore risuona debolmente, ma il silenzio di morte rimbomba letteralmente dentro di noi. Concentriamoci su questo, ora, domani è già troppo tardi. Domani incominceremo a trovare ragioni, sviluppare analisi, rammendare il buco. Immedesimiamoci oggi con l’orrore di questo silenzio di morte e cerchiamo di acoltare per tempo il grido del dolore.
Il Crocifisso fa appena in tempo ad affidarci gli uni agli altri. Il Crocifisso ci ammonisce: ecco che cosa succede quando non ci fidiamo, quando ci sfidiamo, quando impariamo a diffidare gli uni degli altri. I gridi vanno persi, diventano silenziosi, inudibili, mortali.
Di chi deve fidarsi la generazione che viene al mondo ora? A chi possono affidarsi i giovani che cercano uno straccio di progetto di vita condivisa al quale dare fiducia? Non lo trovano nella famiglia (vecchia o nuova che sia, nulla cambia a questo riguardo: nulla) non lo trovano nella scuola, non lo trovano nel lavoro, non lo trovano nella politica. Troppe grida di risposta sono imperturbabili: non è il nostro specifico compito. E di chi, allora? Intanto, le voci della disperazione gridano dentro i ragazzi, che non sanno più neppure da dove vengono le voci: si smarriscono in un’interiorità già assai precaria, tirano colpi alla cieca sui loro fantasmi, vogliono scendere dal nostro mondo: e qualcuno, poi, lo fa davvero.
“Ragazzi, vado avanti io, nelle regioni oscure dell’umiliazione e dell’avvilimento.
Voi onoratemi almeno in questo: amatevi l’un l’altro come io vi ho amati. Non vi lascerò orfani, manderò un Vento di Dio che spazzerà le foglie morte e farà venir voglia al grano di nascere ancora, alla vite di avere nuova linfa, ai fichi di offrire il cuore. E com’è vero che ora vi precedo, nelle ombre della morte e nella via della vita, tornerò.
Mangeremo insieme e berremo insieme: e saprete che le ombre sono davvero finite e il mondo è veramente cambiato”.
Più o meno con queste parole, Gesù aveva anticipato l’orrore del Venerdì Santo, il giorno in cui si deve ascoltare con struggimento il grido dei perseguitati e patire con vergogna il silenzio dei civilizzati. Non c’è modo di immaginare – l’esperienza lo prova ogni giorno – la nostra capacità di farci realmente trafiggere da quel grido e abbracciare con passione la promessa che esso racchiude. È pura grazia, il Venerdì Santo. Se non la chiediamo ora, quando? La grazia del Venerdì Santo deve resistere – per tutto l’anno – alla prova del fallimento delle nostre programmazioni di una vita immune dalle ferite, delle nostre complicità messe alla prova degli abbandoni, della nostre professionalità che ci esonerano dall’umanità che sta fuori dalle procedure.
Programmi ne avevano fatti anche gli Apostoli. Poi il Venerdì santo arriva e bisogna saper improvvisare la cura dei feriti, la ricerca degli abbandonati, tenerezza per gli esclusi dai protocolli. (Eppure Lui l’aveva detto che il regno di Dio viene all’improvviso, nei modi più impensati, con tenerezza e violenza: e bisogna afferrarlo in entrambe). Il Crocifisso va avanti per primo, ci lascia in vita perché ascoltiamo il grido del Venerdì di Passione e ne interiorizziamo la grazia. Così, quando arriva il Vento di Dio non ci chiuderemo in casa – o in chiesa – e avremo occhi e orecchie nuove per vedere gli scarti della società civilizzata e ascoltare il gemito della creatura oppressa. E ci commuoverà e ci rallegrerà, persino, la forza che troveremo per farlo.