Per capire la verità, 11 settembre 2001. La semplicità del male in un video per caso
Per quelli che hanno sedici anni è già storia lontana. Ne hanno sentito parlare, certo, hanno visto foto e video. Ma l’11 settembre 2001 non erano nemmeno nati; e quella data, per loro e per i fratelli minori, già si avvicina a essere poco più di un capitoletto in un libro di scuola. Ieri però, 17 anni dopo, sul web un video sulle Torri Gemelle ha registrato sei milioni di visualizzazioni. Quel giorno un operatore della Cbs, Mark Laganga, per caso a Manhattan, con la telecamera si era precipitato verso il luogo della strage.
La Torre Sud, invisibile nel fumo, era già crollata. La Nord dalla sua altezza vertiginosa bruciava come un camino d’inferno.
Il video è una testimonianza straordinaria, perché ci racconta l’11 settembre non solo nelle pure agghiaccianti prospettive esterne degli aerei lanciati come in un folle videogioco, ma in quella di un uomo che sbalordito, senza ancora capire, si inoltra fra le macerie. La telecamera a tratti inquadra volti e scene, a tratti si capovolge, o è accecata dalla polvere. A un certo punto l’uomo cammina con il sole alle spalle, e l’obiettivo riprende la sua stessa ombra che corre verso le Torri. È come se l’autore avesse fatto della macchina nient’altro che i suoi occhi, e ci portasse ancora dentro l’11 settembre. Semplicemente con gli occhi di uno che c’era.
L’orizzonte è soltanto fumo, un fumo che da bianco illividisce. Chi se ne allontana quasi soffoca, coperto di cenere. Ma colpisce come quelli che fuggono non corrano, non urlino: invece camminano adagio, zitti. «What happened?» domanda l’uomo con la telecamera a ognuno, che cosa è successo? E quelli gentili, confusi, balbettano che una Torre è crollata, che altro non sanno. (Un regista non lo avrebbe saputo immaginare, che da una strage con quasi 3.000 morti i primi sopravvissuti vengano via muti, composti, annichiliti).
Laganga cammina invece veloce, coraggioso, contromano. Domanda ancora, sempre più disperatamente, mentre i suoi passi scricchiolano sulle macerie e il suo occhio tecnologico riprende fiamme, cenere bianca come neve, vetri in frantumi, feriti. Entra nei locali della Torre Nord, sale le scale mobili bloccate, registra le sirene degli allarmi, i bip ostinati e ossessivi degli ascensori bloccati. Nessuno: solo rovine e cenere. Chi ce l’ha fatta è scappato. Gli altri sono in trappola, su negli ultimi piani assediati dalle fiamme.
Fuori la caligine densa a tratti lascia spazio a un cielo azzurrissimo, ancora più surreale. Un uomo avanza stanco, trascinandosi dietro dei personal computer. «Sa dove sono andati tutti?» chiede smarrito al giornalista. Non ci sono i morti, nel video, né la tragedia di chi corre giù per le scale, e nemmeno la spettacolarità degli schianti sulle Torri. Eppure il documento ha impressionato sei milioni di persone. Perché?
Perché sono semplicemente gli occhi di un uomo che passava di lì, e raccontano. E questa forma diretta raggiunge il cuore. Colpi di tosse di sottofondo infine, parole soffocate. È il fumo della Torre Nord che collassa. Poi, la mano del giornalista ripulisce alla meglio l’obiettivo. C’era anche lui, in quella nuvola nera.
Se avete figli di sedici anni, fategli vedere questo video. È raro avere una testimonianza così vera del male. Delle guerre del Novecento sono rimasti per lo più filmati della propaganda, oppure foto terribili, ma in bianco e nero, in cui i protagonisti immobili non hanno la vivezza della realtà come noi la vediamo. I 29 minuti di un giornalista che passava per caso a Manhattan invece sono proprio il nostro mondo, squassato e annientato in un martedì qualsiasi di settembre. Ciò che avremmo visto noi, e non avremmo dimenticato. Ciò che va fatto vedere a chi ancora non c’era, perché la storia esca dalle pagine dei libri e si faccia vita, carne, sangue. Perché forse, se sapessero davvero ricordare, gli uomini non ricomincerebbero sempre daccapo.
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