Cristo e questo mondo crocifisso. La grazia del pianto
Esiste un silenzio che non è assenza di parole ma vocabolario del cuore, respiro profondo dell’anima, preghiera. Succede quando i sentimenti sono così forti che quasi ti esplodono nel petto. E allora non basta la frase giusta, non serve l’immagine più colorita, puoi solo mostrarti per quel che sei, lasciare che a parlare siano gli occhi. Seri, sorridenti, cupi, a volte umidi di lacrime, l’unico inchiostro che mentre scende non sporca ma purifica, colora, fa splendere lo sguardo. Il pianto come liberazione, come ringraziamento, come chiave per aprire le porte della propria vita all’altro.
Chi ieri ha visto in tv il Papa intervistato da Lorena Bianchetti nel programma di RaiUno 'A sua immagine' più ancora che dalle riflessioni – tutte profonde e importanti – sarà rimasto colpito dal finale. Alle tre del pomeriggio del Venerdì Santo, l’ora in cui Gesù muore in croce, il Pontefice a chi gli chiedeva come vivere quel momento, ha risposto senza rispondere, consegnandosi al silenzio, mentre il respiro si faceva più profondo e gli occhi si inumidivano.
E chissà cosa gli è passato nel cuore: sicuramente la passione atroce accettata da Cristo, e insieme l’innocenza dei bimbi dilaniati dalle bombe, le famiglie orfane dei soldati, le mamme in fuga con i loro piccoli in braccio, i giovani mandati a uccidere e a morire. Un affresco di angoscia impossibile da descrivere. Si può soltanto restare lì con i propri interrogativi, da soli anche se in mezzo a tanti, mentre la sofferenza toglie il fiato e ti spegne la voce.
Ma non è paura o disperazione, quegli occhi che sembrano perdersi lontano sono la coperta che scalda il parente scappato chissà dove, il pensiero della madre che aspetta il ritorno di un figlio, la religiosa che invoca lo Spirito sulla sua comunità. Il filo dell’amore quotidiano con cui rammendare un tessuto di relazioni sfilacciato e logoro.
Perché cambiare si può, è possibile guarire. Dalla brama di potere, dal narcisismo, dal pettegolezzo, dalla mondanità spirituale, per usare un’immagine cara a Francesco.
Dalla seduzione del male, che sembra bello e invece ti consuma, e presto o tardi ti distrugge. Siamo malati di cainismo – ha osservato il Papa – nel senso che abbiamo scelto lo schema di chi uccide il fratello e la sorella. Nello scenario inquietante di una guerra senza senso, come nell’economia che mette al centro il profitto e non l’uomo, o nei diktat (quelli veri) di politiche sanitarie che curano chi può permettersi di pagare. E gli altri? I poveri? Che si arrangino.
La scorsa notte, tra le testimonianze della Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo, colpiva il racconto di una famiglia migrante. «Noi che a casa nostra eravamo importanti, qui siano numeri – denunciavano –. Eppure siamo molto più che immigrati. Siamo persone». Eccola la ricetta della guarigione, il rimedio contro l’egoismo, la radice della fraternità.
Si chiama umanità e si definisce nella capacità di farsi carico dell’altro, di averne compassione, di disinfettarne le ferite. Le lacrime in fondo servono a questo: a dimostrare che ci siamo, pronti a soffrire con l’amico che sta male e a sorridere con chi è nella gioia. «Dobbiamo piangere di più» – ha aggiunto il Papa nell’intervista tv – . Di gioia, di consolazione, di speranza. «Chiediamo la grazia del pianto». Che non ha bisogno di frasi a effetto o di citazioni colte, perché parla senza parole, e il suo silenzio è già un abbraccio, una promessa di perdono. Una carezza che ti resta sul viso.