La Grande Coalizione. La svolta quasi fatta in Germania, la scossa necessaria alla Ue
È una fragile leadership quella che ha consentito a Martin Schulz di uscire momentaneamente vincitore dal congresso straordinario della Spd e di affrontare il negoziato con la Cdu-Cdu per dar vita alla nuova Grosse Koalition che guiderà la Germania. Una leadership risicata e tuttora sub judice, visto che si attende ancora l’esito del referendum postale fra i tesserati del partito, la cui incertezza dimostra come la socialdemocrazia uscita a pezzi dalle elezioni politiche del settembre scorso non sia affatto guarita dal processo di marginalizzazione in cui era precipitata con la lunga subalternità alla cancelliera Merkel. La quale peraltro, all’alba del suo quarto mandato, non gode affatto del favore che l’aveva vittoriosamente accompagnata negli ultimi quindici anni. «Un’anatra zoppa, come certi presidenti americani», l’ha ribattezzata ingloriosamente il quotidiano 'Handelsblatt'.
C’è del vero. Il 'grande rimosso' della Merkel – leggi: le politiche sull’immigrazione – si accompagna all’imbarazzante serie di giravolte alle quali Schulz ha sottoposto l’elettorato tedesco, traghettando entrambi i leader sulle spiagge ingrate di una sfiducia sottile ma diffusa, venata di un vago rancore nonostante la fiducia dei consumatori sia alle stelle, a cui poco giovano questi tempi estenuati – elezioni a settembre, negoziati a Natale e governo di coalizione non prima di Pasqua – prima di poter dare alla Germania un governo stabile. La Grosse Koalition che si profila all’orizzonte è chiamata a fare i conti con una Germania che proprio per la forza della sua economia e il gigantesco surplus commerciale con cui si presenta gloriosa in queste ore al summit di Davos è in larga misura dichiaratamente ostile all’indulgenza nei confronti dei Paesi membri della Ue che, come accusano gli alleati bavaresi della Csu, «preferiscono la contabilità allegra al rigore», così come è perplessa di fronte alla pur provvidenziale iniezione di moneta voluta dalla Bce guidata da Mario Draghi.
Condividere il debito pubblico con gli Stati membri meno virtuosi, unificare i sistemi bancari, elargire quella solidarietà nei confronti delle fasce più deboli che l’Europa reclama per diventare un’Unione anche di fatto e non solo di nome sono fumo negli occhi per molti e foraggio per i populismi e le derive xenofobe che si affacciano con preoccupante ricorrenza nelle consultazioni elettorali. Ma proprio per questo è bene che la Spd prenda parte alla guida del Paese. Perché senza di essa il welfare, il diritto del lavoro, la sanità, i ricongiungimenti familiari e il governo (e non il mero rigetto) dei flussi migratori tornerebbero a essere capitoli rimossi o blandamente considerati nell’agenda del partito di maggioranza relativa.
A rallegrarsi della ritrovata – se pur precaria – unità di intenti fra i due maggiori partiti tedeschi non è la Germania, ma l’Europa. Un’Europa che per progredire non può basarsi esclusivamente sul neocolbertismo del presidente francese Emmanuel Macron e sul suo progetto di rifondazione dell’Unione Europea, ma viceversa ha bisogno del concorso di tutti i Paesi 'di buona volontà' (fra i quali è francamente difficile annoverare Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria, l’ormai famigerato Gruppo di Visegrád). A cominciare da Italia e Spagna. Ma soprattutto ha bisogno della Germania. E non soltanto per la sua forza economica, ma per quella visione politica che finora ha ampiamente latitato di fronte ai grandi accadimenti internazionali, preferendo, i leader tedeschi del dopo-Kohl, mettere ordine nel cortile di casa piuttosto che esercitare una leadership all’esterno. «La nostra ambizione per l’Europa non si realizza da sola, ha bisogno di coniugarsi con l’ambizione tedesca, ed è quello a cui lavoriamo», dice Macron. «La visione che abbiamo sul futuro dell’Europa è la stessa – ha risposto Angela Merkel –, un grande progetto perché l’Europa abbia più fiducia in se stessa e la trasmetta ai cittadini».
Sarà dunque la GroKo (così i dissidenti della Spd chiamano beffardamente la coalizione con i cristiano-democratici) a salvare l’Europa? Certamene no, non solo. E non sarà solo l’asse carolingio a due. La scelta della Spd, che c’è da sperare sia confermata, e la volontà convergente della Cdu sono anche un buon esempio. Serve presto, serve ora una Grande Coalizione di governi decisi a rilanciare l’Unione come vera Comunità di Stati e di popoli e di cittadini. L’Unione Europea è una macchina misteriosa, organismo sapiente e al tempo stesso capace di lentezze esasperanti. Ma un fatto da sempre è noto: non potrà mai avere 'padroni' né un solo e unico timoniere.