Economia. La chiave è condividere le risorse e sostenere la cittadinanza attiva
Le drammatiche vicende dell’invasione russa dell’Ucraina hanno determinato un brusco risveglio dell’opinione pubblica europea portando in casa nostra guerre prima lontane e rendendoci consapevoli che la pace non è mai da considerare acquisita ma è piuttosto un percorso e un processo da conquistare faticosamente ogni giorno. Ma come? Innanzitutto, condividendo risorse.
Viene ricordato spesso anche su queste colonne che il più straordinario processo di pace della storia moderna è stato proprio quello che ha condotto alla progressiva integrazione dei Paesi dell’Europa Occidentale, un processo iniziato dopo secoli di guerre sanguinose con la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Sotto la spinta di leader illuminati di ispirazione cristiana (Adenauer, De Gasperi, Schumann) la prima e più strategica decisione che ha avviato il percorso è stata quella di decidere di non combattere più per il controllo di risorse strategiche per lo sviluppo dei Paesi, ma di metterle in comune. Quel percorso deve oggi trarre nuovo slancio se non vogliamo fare passi indietro al nostro interno, superando la contrapposizione tra cicale e formiche, e imparando la lezione della risposta alla pandemia dove l’Unione Europea ha affrontato il momento economico più difficile dal secondo dopoguerra novecentesco riuscendo finalmente a fare squadra e constatando come in questo modo le sue risorse e capacità d’impatto si sono moltiplicate (uno 'con' uno, non ci stanchiamo mai di ripeterlo, fa sempre tre).
Con il collega economista Guido Cozzi sulle pagine di Avvenire abbiamo già spiegato che anche in questo momento difficile esistono opportunità di rilancio di questo processo e nuove modalità tecniche per tenere assieme gestione del debito e lotta all’inflazione (con una manovra legata all’introduzione dell’euro digitale) che solo una volontà politica rinnovata di rilancio in questa direzione potrà cogliere. Un secondo pilastro fondamentale, sottolineato con altre parole da Francesco Gesualdi, è quello della 'destrategicizzazione' delle fonti di energia. Uno dei filoni più interessanti nella letteratura economica è quello sulla 'maledizione delle risorse naturali' (si veda per una sintesi Sachs, J. D., & Warner, A. M. (2001). 'The curse of natural resources'. European economic review, 45(4-6), 827-838.) che illustra come attorno al controllo di risorse strategiche si scatenano guerre e conflitti che destabilizzano Paesi finendo per rovesciare l’assunto che chi possiede materie prime fondamentali abbia un destino fortunato.
L’indicazione qui è chiarissima. Se prima sapevamo che la scelta delle fonti rinnovabili era la migliore per salute, clima e convenienza di prezzo (costa meno produrre energia in quel modo), oggi sappiamo che lo è anche se vogliamo costruire la pace. In un mondo dove l’energia è prodotta in modo diffuso e decentrato dalle comunità energetiche l’energia non è più strumento di ricatto, condizionamento, dipendenza, così difficile da superare come indicano le difficoltà dell’Unione Europea (anche dopo il sesto pacchetto di sanzioni appena approvato) di fare a meno del petrolio e del gas che finanzia la guerra di Vladimir Putin. Un terzo pilastro su cui dobbiamo puntare è alimentare e sostenere tutti i processi di cittadinanza attiva che è il vero cuore caldo della democrazia. La cittadinanza attiva si declina anche in forme nuove d’impresa che coniugano valore economico e valori si pongono l’obiettivo di una distribuzione del valore creato diversa da quella delle aziende massimizzatrici di profitto 'non importa come'.
L’Italia ha una lunghissima tradizione da questo punto di vista che nasce con le casse rurali, le banche di credito cooperativo e la cooperazione storica di consumo e di lavoro a cui si aggiungono oggi le nuove forme delle cooperative sociali di tipo A e B, delle fondazioni e cooperative di comunità e dell’impegno di molte aziende profit ad abbinare obiettivi d’impatto sociale a quelli di profitto come nel caso delle B-Corp, delle Benefit Corporation e delle imprese che fanno responsabilità sociale e non solo la dichiarano. Questo nuovo modo di declinare l’attività economica è generatore di pace e democrazia perché abbina la creazione di valore economico a iniziative che si propongono di valorizzare le comunità locali, ridurre le diseguaglianze di opportunità e di accesso ai servizi e dunque prevengono quei fattori che determinano tensioni e aspri conflitti sociali. È il modo più pieno e maturo nel quale si declina il principio della sussidiarietà che è uno dei cardini della Dottrina sociale cristiana. Consideriamo tutto questo espressione del 'civile' e delle comunità che si preoccupano del bene comune e dell’impatto sociale e ambientale delle loro scelte senza usare il termine 'pubblico' che non è sinonimo di statale, ma richiama l’intervento vecchio stile dello Stato. Le vicende della guerra russo-ucraina hanno ovviamente riaperto il dibattito sul settore della produzione degli armamenti e del rapporto tra economia, guerra e pace. Se è un errore pensare ingenuamente che gli scambi e il commercio assicurino di per sé la pace (abbiamo verificato purtroppo che non è così) sarebbe anche un errore pensare che la guerra faccia bene e sia quasi necessaria all’economia.
Al contrario oggi osserviamo chiaramente come l’invasione dell’Ucraina ha rinfocolato l’inflazione a causa dell’aumento del costo dell’energia, ostacolato il commercio di derrate alimentari, mandato in tilt i mercati finanziari generando complessivamente effetti negativi e purtroppo drammatici sui più deboli (come lo sono i Paesi africani dipendenti dal grano ucraino). C’è solo un piccolissimo settore, quello dei produttori di armamenti che non rappresentano mediamente più del 2 per cento del Pil di un Paese, che ne sta traendo vantaggio. Il problema è che la capacità di lobbing di questo settore sui governi è senz’altro superiore al suo peso sull’economia. È per questo motivo che circa vent’anni fa, con la finanza responsabile abbiamo iniziato il percorso del 'voto col portafoglio' affermando che la sovranità sui mercati finanziari deve essere quella dei risparmiatori che ripudiano la guerra come strumento di risoluzione delle controversie e lo dimostrano concretamente votando coi propri risparmi per le aziende che fanno proprio questo principio.