Due evidenze e un buon dato. Inflazione e transizione
Le istituzioni in generale e ancor più le banche centrali – la Banca centrale europea in particolare – sono lente e adattive, pesano le parole prima di parlare, sapendo che le loro dichiarazioni saranno esaminate al microscopio e produrranno reazioni sui mercati finanziari. Così la presidente della Bce Christine Lagarde che ieri ha riconosciuto ed evidenziato i legami profondi tra transizione verde ed inflazione ha fatto propri due degli argomenti trattati su queste colonne negli ultimi tempi, ma non ancora entrati sinora nel discorso del banchiere centrale.
Anzitutto i prezzi volatili delle fonti fossili, mettendo in moto aumenti dei costi di produzione in tutti i settori economici, sono stati il volano principale delle due grandi ondate inflattive che ci hanno travolto in epoca recente (quella originata dal quadruplicarsi dei prezzi del petrolio a fine anni ’70 e quella derivata dall’esplosione dei prezzi del gas di questi ultimi tempi) generando nuovi scartati e nuove povertà.
Secondo, gli eventi estremi derivanti dagli choc causati dal riscaldamento globale hanno prodotto contrazioni dell’offerta dei prodotti agricoli, aumentando i prezzi del carrello della spesa e contribuendo a creare uno zoccolo duro d’inflazione che quaderni di ricerca della stessa Bce stimano attorno all’1 percento.
In questo contesto, e in attesa dei dati del prossimo mese, l’annunciato calo dell’inflazione a ottobre è una buona notizia, un piccolo squarcio in un orizzonte reso cupo dalle tragedie che arrivano dai fronti di guerra. Una buona notizia perché qualche tempo fa l’Istat ci ha ricordato che proprio l’inflazione, con l’erosione del nostro potere d’acquisto, ha fatto precipitare lo scorso anno sotto la soglia della povertà assoluta più di 350mila italiani e 150mila famiglie. I dati incoraggianti sull’inflazione di ottobre, se annualizzati, ci porterebbero all’1,8% annuo, dunque sotto il valore obiettivo della
Bce, il 2%, in netto calo rispetto al 5,3% di settembre. L’estrema variabilità delle rilevazioni mensili induce a non prenderle per oro colato e dunque ci sarà bisogno di verificare nei prossimi mesi se la tendenza positiva sarà confermata. Il dato più marcato che giustifica il calo è il rallentamento dei prezzi dei beni energetici non regolamentati e regolamentati che passano rispettivamente da +7,6% a 17,7% nel primo caso e dal -27,9% al 32,7% nel secondo. Un altro elemento che induce ad un atteggiamento prudente è il rallentamento dell’inflazione al netto dei beni energetici e degli alimentari (la cosiddetta inflazione “core”) che è molto più lento (dal 4,6 al 4,2%).
Non è ancora possibile purtroppo analizzare scientificamente, separando il contributo delle diverse cause, un fenomeno ancora in corso come quello delle cause dell’inflazione post Covid, ma senz’altro è utile considerare alcuni elementi per il dibattito, anche perché le decisioni politiche – ad esempio quelle sull’aumento o meno dei tassi d’interesse della Bce – devono essere prese in contemporanea e non certo quando gli storici avranno valutato con calma le dinamiche delle determinanti di questi anni. I dati di ottobre confermano però ancora una volta quanto l’andamento dell’inflazione risenta dell’andamento dei prezzi dell’energia.
In una prospettiva di più lungo periodo, se osserviamo la dinamica della differenza tra il famoso prezzo del gas alla Borsa di Amsterdam (riferimento del prezzo pagato dai consumatori) e il prezzo del gas all’importazione (registrato alla dogana all’entrata nel nostro Paese, ovvero il prezzo di acquisto per le compagnie che lo vendono ai consumatori finali) possiamo osservare molto chiaramente una bolla il cui intervallo temporale coincide con il fenomeno inflattivo.
La domanda che si pongono tutti, dal cittadino agli addetti ai lavori, è se, alla luce di quanto considerato recentemente dagli studiosi e ieri dalla Lagarde, esista contro l’inflazione una cura migliore dell’antibiotico dell’aumento dei tassi. Antibiotico a vasto spettro, spesso efficace, ma con effetti collaterali significativi: dagli stimoli alla frenata dell’economia, che infatti registra una crescita pari a zero, all’aumento dei mutui a tasso variabile fino ai default dei debiti di molti Paesi poveri ed emergenti, con prestiti a tasso variabile in valuta estera. Un’indicazione interessante arriva dalla storia dei nostri vicini Francia e Spagna. La Francia ha registrato lo scorso anno un’inflazione molto più bassa perché la sua economia dipende più dal nucleare e meno dalle fonti fossili. La Spagna ha anch’essa fatto segnare una performance migliore perché è intervenuta con decisione a calmierare i prezzi di vendita al consumatore dell’energia a giugno 2022 bloccandoli a 40 euro per megawattora.
Pur sapendo che molti altri fattori hanno concorso alla consistenza del fenomeno, è in ogni caso lecito domandarsi quale sarebbe stata l’inflazione in Italia se fossimo stati più avanti nel percorso della transizione ecologica e se fossimo riusciti ad intervenire tempestivamente mettendo un tetto (garantendo comunque un markup di profitto ragionevole) al prezzo del gas. presto per cantare vittoria e pensare che la rondine di ottobre faccia primavera. Ancora una volta le tensioni geopolitiche possono portare a nuovi aumenti di gas e petrolio, trasmettendo nuovamente aumenti di costi a tutto il sistema. Nel frattempo, però, studiosi ed addetti ai lavori devono continuare ad approfondire e ad interrogarsi su medicine e opportune dosi necessarie per contrastare una malattia grave con i minori effetti collaterali possibili per la vita delle nostre società. Avendo bene a mente che dall’identificazione rapida delle patologie e dal miglioramento delle cure dell’inflazione passa una parte fondamentale dei destini sociali ed economici di ogni Paese, inclusa la lotta alla povertà e il contrasto alle diseguaglianze.