La decisione del Papa. Abusi, obbligo di denuncia nella Santa Sede
Per capire l’importanza dei testi bisogna partire dalla fine. Dalla firma, che non era necessaria e invece eccola: chiara e perentoria. A ribadire che non sono ammessi equivoci e fraintendimenti al ribasso. Attribuendosi in prima persona la paternità non solo del “Motu proprio” ma anche della nuova legge per lo Stato della Città del Vaticano e delle correlate linee guida pastorali, il Papa ha consolidato la linea rigorosa e forte nella lotta agli abusi inaugurata da Benedetto XVI e che lui stesso ha sviluppato con accorata eppure lucida partecipazione.
E forte del dolore e del conforto ricevuti nei giorni dello schietto confronto nel summit mondiale di febbraio, ha alzato l’asticella delle attese e delle “regole” da seguire. L’ha spostata più in alto. Come nella lotta alle malattie particolarmente infettive, quelle con cui non puoi convivere, ma che, pena la sopravvivenza, vanno combattute senza cedimenti, e poi sconfitte, eradicate, cancellate. Per questo la terapia affidata alla piccola, ma esemplare comunità dello Stato vaticano e della Curia Romana, risulta d’urto al limite del praticabile, come una squadra in rimonta dopo il grave handicap subito in un avvio di gara tutto in difesa.
Una strategia offensiva che si gioca su ambiti diversi ma interscambiabili, che si alimentano l’uno con l’altro come un attacco a più punte, fronti autonomi eppure complementari di una stessa battaglia. Il conflitto infatti si combatte su almeno tre piani: la tutela e l’accompagnamento delle vittime, una costante prevenzione, la punizione senza sconti per i responsabili. «Non semplici condanne ma misure concrete» è stata l’indicazione scaturita dal vertice del mese scorso e i documenti pubblicati ieri vanno proprio in questa direzione.
A cominciare dall’estensione della platea delle vittime che, nella nuova legge vaticana, la 297, equipara al «minore» la «persona vulnerabile », cioè chi si trovi «in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa ». Per la loro difesa, d’ora in poi tutti i reati collegati ad abusi, dalle violenze sessuali vere e proprie ai maltrattamenti, saranno «perseguibili d’ufficio» cioè senza la necessità di una denuncia. Che invece diventa obbligatoria, pena la sanzione, per il pubblico ufficiale, tenuto a segnalare all’autorità giudiziaria vicende di cui sia venuto a conoscenza.
Ma le novità non finiscono qui, si prevede anche un allargamento della prescrizione a vent’anni dal compimento della maggiore età e la creazione di un servizio di accompagnamento per le vittime, che avranno dunque persone qualificate cui rivolgersi per trovare aiuto, assistenza medica e tutela giuridica. Quanto ai responsabili riconosciuti colpevoli di abusi saranno «rimossi dagli incarichi», una condanna che qualora si tratti di consacrati verrà accompagnata dalle conseguenti sanzioni canoniche. Perché, forse è opportuno ribadirlo, la materia dei documenti pubblicati ieri riguarda le leggi penali dello Stato della Città del Vaticano, che, malgrado sia giocoforza una realtà con pochi bambini, diventa in qualche modo modello o almeno severa pietra di paragone pure per i codici della giustizia “laica” di tanti altri Stati.
Non ci sono sconti possibili, sembra sottolineare Francesco, per chi si macchia di violenze sui piccoli. Vittime innocenti, il cui ascolto, la cui protezione viene prima di tutto il resto. Ecco allora la necessità, «nella scelta degli operatori pastorali», di accertare la loro «idoneità a interagire con i minori», ecco il divieto di «infliggere castighi corporali», di «instaurare un rapporto preferenziale con un singolo» ragazzo e di «rivolgersi» a lui «in modo offensivo o assumere comportamenti inappropriati o sessualmente allusivi», ecco il dovere che chi lavora con loro sia «sempre visibile agli altri» quand’è «in presenza di minori».
Precauzioni esagerate? No. Perché l’offesa alla vittime e il tradimento verso Dio e verso la Chiesa commessi da chi abusa sono gravissimi. E non c’è nessuno di più prezioso agli occhi del Padre, dei piccoli e degli indifesi. Sono loro i modelli indicati da Gesù nel Vangelo di Marco: «chi non accoglie il regno di Dio come un bambino» non vi entrerà. E per chi li offende il Signore usa le parole più dure di tutto il Vangelo: chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare.