Sanare le ferite . In Nord Europa i primi tentativi di fare pace con i popoli indigeni
Una famiglia Sami, popolazione indigena della Lapponia, durante una celebrazione religiosa
Gran parte degli stati odierni ha dietro di sé una lunga storia costellata di ingiustizie e violenze che hanno lasciato ferite profonde, tuttora visibili, nei contrasti sociali che li affliggono. Ma negli ultimi 40 anni, fortunatamente, alcuni governi hanno deciso di fare i conti col passato. A questo scopo sono nate delle commissioni, talvolta governative e in altri casi indipendenti, ma comunque riconosciute dal potere centrale. Il raggio d’azione di questi organismi è molto vario. La prima commissione di questo tipo, nata in Argentina nel 1983, si è concentrata sui desaparecidos, le 40.000 persone uccise dalla dittatura militare di Jorge Videla (1976-1981). La commissione più nota, quella sudafricana, ha lavorato sette anni (1996-2003) per sanare le ferite prodotte dall’apartheid.
Un caso diverso è quello che riguarda l’oppressione secolare dei popoli indigeni. Dopo vari paesi, fra i quali Australia e Canada, un caso attuale è quello che per la prima volta vede protagonisti tre paesi appartenenti alla stessa area geografica: Finlandia, Norvegia e Svezia. Questa simultaneità non è casuale, ma deriva dal fatto che le commissioni sono nate in seguito alle richieste dello stesso popolo, i Sami (Lapponi), unici indigeni dell’area comunitaria (circa 80.000 persone). Nulla di simile, ovviamente, è previsto in Russia, dove è presente una piccola minoranza sami che vive nella penisola di Kola. È la prima volta che una simile iniziativa coinvolge dei paesi appartenenti all’Unione Europea. Nonostante questa caratteristica comune, i tre paesi nordici hanno storie diverse dalle quali è derivato un diverso rapporto con gli indigeni. La commissione finlandese e quella norvegese termineranno i lavori nel 2023, mentre l’organismo svedese lavorerà fino al 2025. Nelle intenzioni dei promotori queste inchieste, lunghe e dolorose, non dovranno risolversi in semplici scuse ufficiali, ma includeranno un preciso programma di risarcimenti economici e psicologici.
Il processo storico dal quale sono nati i tre stati scandinavi è stato segnato da una dura politica assimilazionista che ha cercato di soffocare la diversità culturale, linguistica e religiosa dei Sami. Lo sciamanesimo è stato assimilato alla magia nera, così gli oggetti sacri sono stati bruciati o portati nei musei europei. Nel nome dello sviluppo economico i diritti territoriali della minoranza artica sono stati sistematicamente ignorati, realizzando progetti industriali dal forte impatto ambientale. Questo ha avuto conseguenze pesanti per l’allevamento delle renne, che costituisce la base economica del popolo lappone. Nel secolo scorso sono stati compiuti esperimenti eugenetici ai danni di sami, zingari e malati di mente. Non da scienziati folli che lavoravano in luoghi remoti, ma alla luce del sole in ossequio a precise leggi statali.
Le commissioni sono state varate per uniformare un percorso che i tre paesi avevano già avviato in ordine sparso. Questa fase precedente avrà il suo peso, perché quello che ciascun paese aveva già realizzato condizionerà i lavori delle commissioni. In altre parole, queste potranno lavorare in modo più o meno efficace a seconda dei rispettivi punti di partenza. Un esempio palese di questo divario è il Parlamento Sami, l’assemblea indipendente alla quale i tre governi riconoscono un potere consultivo. In Finlandia è nata nel 1973, in Norvegia nel 1989, mentre in Svezia ha visto la luce soltanto nel 1993. Anche il riconoscimento costituzionale dello status di popolo indigeno è arrivato in periodi diversi (in Norvegia nel 1989, negli altri due paesi nel 1995).
Come altri popoli indigeni, i Sami hanno avuto forti contrasti con i missionari cristiani durante i secoli scorsi. La Chiesa luterana svedese ha dato prova di grande responsabilità riconoscendo le proprie colpe e pubblicando un libro dove analizza la questione in modo dettagliato ( The Sami and the Church of Sweden, 2018). Il 24 novembre 2021 la struttura religiosa ha presentato le proprie scuse ufficiali. Non solo, ma stanzierà 3,9 milioni di euro per un piano decennale ben preciso. Questo si propone fra l’altro di rivitalizzare la lingua sami e aumentare la consapevolezza delle relazioni storiche fra la Chiesa e la minoranza autoctona. Il vescovo della diocesi di Oulu, città situata nella Finlandia settentrionale, è andato ancora oltre, coinvolgendo direttamente il Papa. Il 17 gennaio scorso il presule ha informato il Pontefice che la Chiesa luterana finlandese presenterà le proprie scuse ufficiali ai Sami per le «colpe del passato e i gravi peccati che hanno lasciato un segno profondo sulla vita delle persone».
Un tema che ha acquistato molto rilievo in seguito alla formazione delle commissioni è la restituzione del patrimonio culturale sottratto ai Sami nei secoli scorsi, come i tamburi sciamanici e i resti umani degli antenati. Buona parte di questo materiale si trova disperso in molti musei. Nello scorso aprile i Sami della Norvegia hanno celebrato un evento storico: la restituzione di un tamburo confiscato nel 1691 a Poala-Ánde (Anders Paulsen), uno sciamano che era stato processato e condannato per stregoneria. Nella cultura sami il tamburo, legato alla figura del noaidi (sciamano), occupa un ruolo centrale. Non a caso il periodo precristiano viene detto “tempo del tamburo”, mentre quello successivo all’incontro col cristianesimo “il tempo in cui si doveva nascondere il tamburo”. Lo strumento era stato inviato in Danimarca ed era entrato a far parte del Museo nazionale di Copenaghen. Quindi era stato prestato al Museo Sami di Karasjok, in Norvegia, dove è rimasto per quarant’anni. Il popolo indigeno ha sostenuto a lungo che la proprietà fosse stata formalmente ceduta dall’istituzione danese. Così, dopo un appello alla regina Margherita di Danimarca, il tamburo è stato ufficialmente restituito alla comunità sami di Karasjok.
Un altro paese nordico, la Danimarca, rappresenta un caso diverso da quelli suddetti. Qui il popolo al quale è stata imposta una lunga discriminazione sono gli Inuit (Eschimesi). Diversamente dai Sami, questi indigeni artici non vivono insieme alla maggioranza, ma in Groenlandia, isola nordamericana legata alla Danimarca da un lungo rapporto coloniale (1721-1953). Dal 1953 al 2009 i 100.000 abitanti (in larga maggioranza inuit) hanno conosciuto vari livelli di autonomia. Negli ultimi anni si è fatta strada l’ipotesi dell’indipendenza, ma le ferite del passato non si sono ancora rimarginate. Nel 1951 il governo danese concepì un’iniziativa che avrebbe dovuto “civilizzare” (cioè assimilare) i giovani inuit groenlandesi. Prima di realizzarlo su larga scala fece un primo tentativo: 22 bambini fra i sei e gli otto anni furono separati dai genitori e trasferiti in Danimarca. Qui vennero affidati ad alcune famiglie che avrebbero dovuto trasformarli in “piccoli danesi”.
L’ esperimento si rivelò fallimentare e venne abbandonato l’anno successivo. I bambini furono riportati in Groenlandia, ma ormai erano stati segnati da un pesante trauma psicologico e culturale. Soltanto alcuni poterono ricongiungersi alle rispettive famiglie, mentre gli altri vennero mandati nell’orfanotrofio di Nuuk, capitale dell’isola. La commissione che era stata istituita in Groenlandia per indagare su questi e altri fatti ha lavorato per tre anni (2014-2017), ma senza la partecipazione del governo, che aveva apertamente contestato l’iniziativa. L’attuale premier danese Mette Frederiksen, al potere dal 2019, si è dimostrata invece disposta a collaborare con le autorità groenlandesi in una nuova inchiesta sulle ingiustizie lamentate dagli inuit, seppure limitata al periodo compreso fra la Prima e la Seconda guerra mondiale.