I cattolici e l'impegno pubblico. Il punto e il dovere
Sarà meglio prenderle sul serio, e comprenderle per davvero, le parole «libere e forti» che ieri il cardinale Gualtiero Bassetti ha pronunciato con tono piano e senza un briciolo di retorica davanti all’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. Ha parlato ai confratelli vescovi tanto quanto ai laici cattolici, il presidente della Cei, e ha detto qualcosa sull’impegno politico che riguarda tutti e, soprattutto, riguarda il bene presente e futuro del Paese, e che ha trovato come inaspettata eppure perfetta eco nella conclusione della relazione sulla «presenza ecclesiale» nei vecchi e nuovi ambienti mediatici che poco dopo è stata tenuta dal professor Pier Cesare Rivoltella. «Mai come oggi – ha scandito lo studioso della comunicazione – cristianesimo può voler dire cittadinanza». I lettori sanno quanto, e quanto appassionatamente, su questo punto anche su queste pagine si insista. Perché una simile consapevolezza è decisivo motore di impegno pubblico, umile ma deciso.
Ricorda, infatti, Bassetti che «la fede non può essere fumo» e che «spazi dottrinali vuoti o pieni di pia retorica» non riescono a contenere amarezze, difficoltà e tragedie del nostro tempo e neppure la speranza del cambiamento e la concreta spinta a realizzarlo. Spazi così inabitati e inabitabili, così lontani dal calore accogliente generato dalla predicazione e dalla testimonianza di papa Francesco, dice in sostanza il cardinale, vanno cambiati perché non possono essere ambiente di lavoro per tutti quei credenti che non si rassegnano alla logica che domina anche questa modernità, al lasciar fare sregolato ed egoista che è diventato ferrea legge non scritta di un mondo purtroppo malato di ferocia e cupidigia, sfregiato dall’ingiustizia e dallo sfruttamento, impassibile davanti alla sofferenza dei poveri, alla morte dei piccoli e degli inermi. Uomini e donne che, qui e ora, in Italia, non si rassegnano alla «prostrazione» di troppi concittadini, cresciuta con l’imperversare di «una crisi economica decennale», e neppure allo «smarrimento culturale e morale» che conduce al «rancore», all’«indifferenza» e al «disagio sociale» che impantana e confonde anche le scelte politiche dei cittadini, e della politica per i cittadini.
C’è indubbiamente del «nuovo che avanza» nella nostra politica mentre si sgretolano «vecchi partiti» e nasce un governo che si annuncia altro. E questo «nuovo», a sua volta, va preso sul serio, come una «sfida». Ma allo stesso tempo, viene spontaneo aggiungere, come motivo e occasione per fare i conti con il fatto che i cattolici in questo nostro Paese nei primi decenni del XXI secolo, hanno raddoppiato e reso persino incandescente l’impegno sociale e raffreddato e ridotto all’osso l’impegno politico propriamente detto.
Tuttavia, annota il presidente delle Cei, nelle condizioni date, anche con grande fatica, in «migliaia di Comuni italiani ci sono persone che senza alcuna visibilità e senza guadagno» si dedicano all’amministrazione della cosa pubblica, continuando la grande tradizione del cattolicesimo politico nel solco tracciato, quasi cent’anni fa, «dai democratici riuniti intorno a don Luigi Sturzo». È lì che sono finiti i cattolici che sulla scena parlamentare si fa fatica a vedere. Non sono collegati, non sempre. Ma ci sono. E sono una forza buona e indispensabile, da sostenere e da incoraggiare, perché ognuno di coloro che la incarnano – ed è forse l’espressione di Bassetti che a questo proposito più dice e più chiede – «deve ritornare a essere un nostro figlio prediletto». Così il «noi» ecclesiale usato con delicatezza e forza dal presidente della Cei comprende con la necessaria, e conciliare, chiarezza pastori e popolo, chierici e laici. Ognuno con la parte di responsabilità che gli è propria.
«Dove sono le nostre intelligenze, dove sono le nostre passioni?», incalza ancora il cardinale. E non è nostalgia, ma una chiamata a una piena intelligenza del tempo che viviamo e di nuova passione per il buono, il bello e il vero. Per la giustizia in un Paese sempre più segnato da solitudini, diseguaglianze e risentimenti, ma ancora e sempre capace di cristiana e civile solidarietà. Per questo, constata e sprona il presidente della Cei, è tempo di «rinnovare la pedagogia politica» che da anni, anche attraverso una miriade di piccole e grandi scuole di formazione al servizio politico, le Chiese diocesane offrono a tutti coloro che, oggi come ieri, hanno imparato che la fede senza le opere – l’impegno per il bene comune – è morta. Il punto è qui. E il dovere.