Dopo la pandemia. Il Giappone ritrova i turisti assieme ai suoi vecchi limiti
Il 28,4% dei giapponesi ha più di 65 anni: un record nel mondo
Giappone in grado di superare di slancio una delle più gravi crisi dall’inizio della sua stagnazione a fine anni Novanta? Non del tutto, ma la terza economia del pianeta – la prima dove il Covid-19 si è manifestato in massa al di fuori della Cina – ha sostanzialmente tenuto e ora rilancia. Lo fa sul fronte interno con le direttive economiche e sociali, mentre su quello internazionale disegnandosi un ruolo più consistente e più autonomo, proattivo davanti alla crisi ucraina e alle minacce nordcoreane, più paritario nei confronti dell’alleato Usa e maggiormente cooperativo nei confronti del vicino sudcoreano. La fine della pandemia può avere aperto all’attesa ristrutturazione il sistema-Giappone utile a garantirgli prestigio internazionale e a portarlo fuori dalle secche di una stagnazione trentennale?
Al momento la situazione ha più elementi da considerare, diverse possibilità aperte, come aperte restano questioni strutturali. Nonostante il deficit persistente nel commercio dovuto alle importazioni petrolifere e di beni di prima necessità la bilancia dei pagamenti continua a registrare un surplus e, dopo il flop economico delle Olimpiadi 2020 rinviate al 2021, è riesploso il turismo straniero, merito di uno yen indebolito e di un veloce recupero del sistema dell’ospitalità che tuttavia ancora fatica a contenere lo tsunami di visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Riallacciate le fila con il boom che aveva visto crescere il numero di visitatori da 20 milioni nel 2016 a 32 milioni nel 2019, previsto ma mancato dei 40 milioni nel 2020, il Paese del Sol levante ha raggiunto a giugno il 2,07 milioni di ingressi su base mensile, superando i 10 milioni da inizio 2023 e per la prima volta i due milioni dal febbraio 2020.
Una spinta sicuramente utile all’incremento dei prezzi al consumo, all’aumento dei salari e all’economia in generale con la prospettiva sottolineata anche dal premier Kishida di aggiungere già quest’anno 5.000 miliardi di yen (oltre 32 miliardi di euro) alla ricchezza prodotta nel Paese. Spariti ovunque prezzi scontati e offerte, ripristinata la concessione dei visti turistici all’ingresso e chiusi i restanti controlli anti-Covid a maggio, l’arcipelago vede il tutto esaurito, anche per gli stessi giapponesi che faticano a prenotare ristoranti e vacanze e devono pagare prezzi esorbitanti per accedere a importanti manifestazioni culturali nazionali: fino a venti volte più cari i biglietti venduti per assistere al festival di Gion a Kyoto culminato con la spettacolare sfilata di carri del 17 luglio. I tempi prolungati per il disbrigo delle pratiche negli aeroporti (Tokyo ha riaperto ai voli internazionali il rinnovato scalo cittadino di Haneda che già sembra soffrire la situazione come il fratello maggiore di Narita) sono il primo segnale di un settore sotto pressione e la conferma arriva nelle code e nelle liste di attesa negli alberghi, nei ristoranti, nei luoghi simbolo del Paese; nelle masse di visitatori che sciamano ovunque sulle rotte più battute di un turismo meno attento e più commerciale. Un Giappone distante dalla realtà un tempo sommessa, volutamente conservata e apprezzata, con il rischio di ridurre la qualità un tempo altissima delle sue proposte, accrescere i costi e diventare una realtà “mordi e fuggi”.
Boom di visitatori e di spesa anche fuori dalle principali aree urbane, con campi da golf, centri benessere e resort che in alcuni casi hanno visto moltiplicarsi di più volte gli incassi rispetto ai tre anni precedenti, fino al 700 per cento nella municipalità di Yamagata. Così, in una nazione travolta dagli eventi in attesa di riappropriarsi di certezze, si assiste al paradosso che luoghi e attività un tempo appannaggio dei giapponesi benestanti o di dipendenti premiati con ricchi benefit aziendali, sono presi d’assalto da stranieri perché resi disponibili dalla parziale ritirata dei clienti abituali e da uno yen concorrenziale. I visitatori da Europa, Nordamerica, Australia hanno già superato i record storici, quelli dai vicini asiatici non ancora, ma in buona parte questo dipende dai limiti imposti ai cittadini cinesi, che solo da giugno hanno ripreso un certo flusso verso il Giappone, più che raddoppiando il dato di maggio e superando le 200mila unità. Il Giappone prova a sostenere l’urto per i benefici immediati ma non dimentica la sua stabilità. Significativamente sul piano della prevenzione, le autorità continuano a proporre vaccinazioni supplementari anti-Covid perlopiù accolte, mentre le mascherine si sono rarefatte ma non sono scomparse, con una presa di responsabilità individuale tipicamente nipponica.
Che cosa resta, quindi della crisi pandemica? Il recupero è diversificato per settori economici e aree produttive. Una recente analisi che incrocia i dati preventivi in 30 settori dell’economia e della finanza e quelli borsistici realmente disponibili per i tre anni successivi alla rilevazione del primo caso di contagio indicano, che in settori come turismo, istruzione, e cosmetici la situazione resta al di sotto dei valori anticipati, mentre per le attrezzature per ufficio, e i semiconduttori, alla caduta iniziale dei prezzi è seguito un recupero pressoché totale. Altri settori, come i ricambi per le biciclette e elettrodomestici hanno avuto dei guadagni iniziali e sono ora tornati a livelli normali. Infine, consegne a domicilio e giochi elettronici sono più richiesti della media precedente il Covid-19.
Alle persistenti difficoltà il governo ha risposto prospettando ulteriori incentivi a sostegno dell’economia in generale ma anche delle campagne, che soffrono la scarsità di alternative economiche, occupazionali e lo spopolamento. Mentre il Paese propone a milioni di turisti la sua cultura e le sue tradizioni, nell’ambito rurale ma non solo, la pandemia ha evidenziato la fragilità della preziosa filiera che alimenta cucina e artigianato, le piccole e preziose attività locali che per qualità e diversità rappresentano una caratteristica dell’arcipelago che rischiano di scomparire inserendosi in un’altra, drammatica tendenza che si va evidenziando in questi mesi. La chiusura di innumerevoli piccole attività per il ritiro o la scomparsa dei proprietari è tra le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione che rappresenta forse la sfida principale per questo Paese e che è stato confermata lo scorso anno, il 14mo di contrazione ininterrotta, con un saldo demografico negativo di 800mila abitanti. I n buona sostanza, se ha aperto a maggiori possibilità e rinnovamento, la pandemia ha accentuato anche le aree di disagio già presenti, sia sul piano economico, sia sociale: l’isolamento degli anziani, ancorché in buona parte incentivati a restare più a lungo nel mondo del lavoro e a partecipare a attività di interesse comune, impiego e reddito ridotti per le donne (prime escluse o penalizzate dal mondo del lavoro in caso di crisi), l’incertezza o l’insufficienza del reddito per molte famiglie, fenomeni di esclusione e autosegregazione. Ad esempio, le ultime statistiche indicano che 1,5 milioni di giapponesi vivrebbero ora rinchiusi nelle proprie abitazioni. Anche in questo caso estensione di un fenomeno, quello gli “hikikomori”, noto da tempo, ma che l’isolamento forzato dovuto alla propagazione del Covid-19 ha radicato ulteriormente, apparentemente confermando come sia possibile vivere senza una interazione diretta o costante con gli altri.