Piccoli calcoli in Europa. Il dramma resta in alto mare
È emergenza in mare per i migranti ed è di nuovo emergenza politica nella Ue. L’esito del Consiglio europeo di ieri conferma che sul tema chiave migratorio, quello dell’accoglienza, l’Europa e i governi nazionali sono divisi, immobili e senza idee. Concentrati su future maggioranze a Strasburgo a un anno dalle elezioni più che sui drammi cui stiamo assistendo da gennaio con circa 1.300 tra morti e dispersi. I numeri spiegano dove sta la vera emergenza.
Lampedusa sta accogliendo in queste ore oltre 3.200 migranti, numero otto volte superiore alla capienza del centro di contrada Imbriacola. Nell’ultima settimana di giugno sono approdati sulle coste italiane oltre 5mila persone, stando agli ultimi dati del cruscotto statistico del Viminale, e purtroppo dai racconti dei profughi emerge che vi sono molte persone disperse. Siamo a quota 65mila arrivi da gennaio, in sei mesi sono arrivati quasi gli stessi migranti del 2021. Quando l’attuale premier Meloni e il vice-premier Salvini chiedevano un giorno sì e l’altro pure le dimissioni del prefetto Lamorgese, predecessore al Viminale del prefetto Piantedosi.
È evidente oggi come allora che non è colpa del ministro degli Interni se gli sbarchi proseguono, perché le partenze avvengono dalla Tunisia e dalle due Libie e la politica europea di pagare i capi banda libici o i dittatorelli d’uomini forti sulle rotte migratorie per fare da polizia di frontiera ha fallito. L’emergenza vera è questa. Le persone in accoglienza nei centri italiani al momento sono infatti 120mila, non una cifra che possa credibilmente mettere in crisi un Paese di 60 milioni di abitanti. E l’Italia non è il centro di accoglienza d’Europa. Basta confrontare le domande di asilo con quelle degli altri Paesi europei l’anno scorso per vedere che siamo solo quarti. Il dramma dunque è in mare.
L’Ue, come ha dimostrato il già archiviato, tragico naufragio di Pylos, non è stata capace di coordinarsi per i salvataggi, mentre Roma ha reso la vita difficile alle Ong obbligandole a fare centinaia di miglia di navigazione supplementare per portare nei porti indicati le persone soccorse. Parlare di politica unitaria di accoglienza tra i 27 è tabù, come prova l’intangibilità del regolamento di Dublino, che obbliga i migranti a restare nello Stato Ue di primo approdo. Non va meglio sulle sponde del Mediterraneo, dove il fallimento europeo sul contenimento degli sbarchi è visibile in queste ore con le partenze dal Nordafrica che si intensificano molto probabilmente per ragioni politiche. La Tunisia del presidente Saied sta forzando per ottenere aiuti economici da Roma e Bruxelles che le consentano di evitare il default, lanciando proclami xenofobi che alimentano i viaggi dei subsahariani.
La Libia orientale di Haftar e quella di Tripoli considerano i migranti l’asset che ha sostituito i dividendi del petrolio distribuiti alle tribù fedeli dal vecchio Rais, il colonnello Gheddafi. Quindi campano prendendo soldi e motovedette dall’Italia e dall’Europa per fermare i migranti e al tempo stesso chiedendo riscatti alle famiglie di quelli sequestrati e sottoposti a torture.
Anche sulle rotte migratorie africane la situazione è grigia, la vecchia politica di stipendiare regimi autoritari per svolgere il ruolo esternalizzato di polizia di frontiera non regge più. La guerra civile in Sudan, dove i mercenari della Wagner sfruttano le miniere d’oro in Darfur, e la sostituzione dei francesi in Mali e Burkina Faso, Africa occidentale, sempre con i mercenari della Wagner, hanno cambiato scenario: i flussi crescenti sono destinati a essere usati come arma. In un quadro più complesso di 12 mesi fa, l’Europa è stata capace solo di litigare e alzare muri, la cui efficacia si può misurare a Ventimiglia, dove passano migranti per lo più destinati nei Paesi del civilissimo Nord a lavoro nero e sfruttamento.
L’unica alternativa a queste scelte fallimentari è tornare a una politica europea unitaria capace di includere e governare l’immigrazione con vie legali e corridoi umanitari. Politica che richiede elettori esigenti. Proviamo a ripensare ai padri dell’Unione, da De Gasperi ad Adenauer a Schumann, fino a Kohl e Mitterrand, tutti capaci di darci libertà e non muri e slogan. E di sognare un futuro di pace e democrazia realizzato con la buona politica. Quel futuro che oggi è indissolubilmente legato all’Africa.