Scenari. Il Diavolo c'è, ecco come riconoscerlo
Gesù tentato sul monte dal diavolo (Duccio di Buoninsegna)
Siamo sinceri: a dire che ci credi passi per ingenuo, tonto, superato, medioevale. Però per paradosso è lecito fidarsi di astrologi, cartomanti, maghi, perfino dei lettori di fondi di caffè. Il male infatti c’è, esiste, e talvolta come nelle tristi vicende di cronaca di quest’estate, assume i contorni del buio assoluto, di fronte al quale sei tentato di alzare le mani in segno di resa. E allora provi ad anticiparlo, a prevedere dove possa annidarsi, a setacciare gli angoli più remoti del cuore per trovare il seme che lo fa crescere. Senza che mai, o quasi, nel sentire comune, possa essere abbinato all’esistenza del Diavolo, quello con la D maiuscola, da non confondere con le tutine e i forconi di plastica indossati a Carnevale. Satana, Lucifero, Belzebù, quanti nomi la filosofia e la narrativa hanno attribuito al Maligno. Così tanti da renderlo quasi un fenomeno letterario, sul quale ironizzare, bevendo un tè o mangiando un panino in pausa pranzo. Un fenomeno da bar sport, si sarebbe detto una volta, comunque da non prendere sul serio. Solo che così facendo, come insegnano santi, testimoni della fede e anche scrittori (laici compresi) si fa proprio il gioco del Diavolo, il cui più grande successo, si dice comunemente, è far credere che non c’è, che non esiste.
Lo ha ricordato per l’ennesima volta il Papa, durante la sua catechesi settimanale in Piazza San Pietro citando Baudelaire e le vecchie-nuove porte d’ingresso al demoniaco nel mondo. E non sono storie da film horror ma vicende attuali, anche computerizzate e digitali, senza per questo mettere sotto processo una volta di più i social, da un po’ di tempo additati a colpevoli di tutto. La tecnologia moderna, per esempio, ha detto il Papa, offre, tra le tante opportunità positive, anche «occasioni al Diavolo». Come la pornografia in rete, come ogni realtà criminale che tratti il corpo umano, delle donne soprattutto, come merce senza valore, da comprare e da vendere, confidando che schiavizzandolo sia più facile avere accesso al suo cuore, alla sua anima. Perché questo fa il Demonio: stringe a sé con una catena di cui tiene le redini e mentre tira isola la persona dalle altre, divide le comunità, insinua la menzogna tra gli amici fino a che si guardano l’un l’altro con sospetto.
Certo ci sono le ossessioni, le vessazioni, le possessioni ma molto più spesso l’azione diabolica usa strade subdole, utilizza il linguaggio delle lusinghe con la promessa di successo, di onori, di fama mondiale. Lo insegna Gesù nel Vangelo delle tentazioni, prova provata per il cristiano che Satana c’è, esiste, non rinuncia a insidiare, «come un leone ruggente – avverte la Prima Lettera di Pietro – che va in giro cercando chi divorare». Solo che non si veste sempre da cattivo ma più di frequente indossa un abito elegante, scarpe lucidate di fresco, magari guida una superauto appena uscita dal garage. No, qui non si vuole cedere al tranello del povero dimenticato dal Diavolo, idea sbagliata alla stessa tregua della teologia della prosperità secondo cui la ricchezza sarebbe il segno di una benedizione divina. Più semplicemente si tratta di capire che non è facile riconoscere il Maligno nei suoi innumerevoli travestimenti, e per questo bisogna fuggire le tentazioni, comprese quelle che entrano nelle nostre vite con parole cortesi e modi delicati. Un dato comune nell’agire satanico, infatti esiste, ed è l’obiettivo finale. Il Demonio punta a separare, a dividere comunità e famiglie, a schiavizzare con una falsa promessa di libertà. Suggestioni da rifiutare in blocco, perché «con il Diavolo non si parla, non si dialoga mai» avverte il Papa. A costo di apparire tonti, ingenui, superati, e perché no? paurosi. Il male assoluto, infatti, non si sfida a viso aperto ma cercando forza nell’umiltà, spostando l’attenzione dal nostro io a chi ci ama più di ogni altra cosa, più di noi stessi. Nelle Lettere di Berlicche, il racconto di Lewis sul diavolo anziano che addestra il nipote a essere un buon tentatore, lo zio maligno insegna: «La cosa migliore è che gli uomini allontanino lo sguardo da Lui», cioè da Dio «e lo rivolgano a sé». Si evitano le tentazioni, si vince il Demonio, facendo il contrario.