Maternità surrogata. I figli non si «fanno». E la famiglia non è proprietà privata
Vincenzo Paglia
Non oggetti, non “cose”. Persone, non a disposizione per i volubili capricci di “genitori” immaturi. Le amare considerazioni che emergono dal procedimento in corso nel Tribunale di Novara – di cui ha dato conto domenica scorsa il settimanale La Lettura, inserto del Corriere della Sera – non devono spingerci solo all’indignazione o alla censura sul piano morale. No, dobbiamo andare oltre.
I fatti, come riportati e a suo tempo descritti anche da Avvenire, raccontano di una coppia di Novara, ritenuta non idonea all’adozione in Italia, per immaturità psicologica, che si reca in Ucraina e firma un contratto per una gestazione per altri che lì è legale. Nasce una bimba che la coppia italiana abbandona e viene cresciuta per 18 mesi da una terza donna, retribuita in modo non regolare dai due italiani. Alla fine costei si rivolge all’ambasciata italiana a Kiev. La bambina è in Italia, ora, in una famiglia adottiva e il padre biologico italiano è a processo per abbandono di minore.
Certo, si dirà, siamo di fronte a un caso-limite. Ma lo è davvero? O non si tratta piuttosto di una vicenda che fa emergere il cortocircuito del diritto? E fa emergere la necessità di una armonizzazione delle normative, quando si ha a che fare con i minori, per evitare tutte le forme di mercificazione della generazione. Temi delicatissimi dove vediamo emergere in controluce il futuro del nostro mondo, se è vero, come è vero, che i bambini e le bambine sono il futuro di tutti noi.
Il cortocircuito del diritto: se qui in Italia l’adozione non mi viene concessa – in questo caso a quanto pare per validi motivi come il seguito della vicenda dimostra – allora che importa, basta recarsi altrove, dove è possibile e addirittura legale. A tanto porta il desiderio “a tutti i costi”.
Soltanto che un figlio non è un oggetto, una “cosa” di cui disfarsi a piacimento. Se la maternità surrogata è legale da qualche parte, sicuramente è sempre una pratica inumana, sganciando non solo la procreazione dal rapporto di coppia, fino a renderlo un contratto retribuito da una parte verso l’altra. Si rende la procreazione un contratto da firmare tra le parti, magari davanti al notaio come in questo caso. Tutto legale, però disumano. Anzi, meno male che c’è stato il passaggio dal notaio, permettendo all’ambasciata un intervento a tutela della bambina e una chiamata in causa di questo genitore irresponsabile.
Di fronte al caso limite, occorre riflettere. Ogni gestazione per altri rappresenta un caso limite. Dobbiamo dire con chiarezza che i figli non sono proprietà assoluta dei genitori e serve una comunità capace di prendersene cura, in un contesto in cui siamo davvero e per sempre – qui, sì, per sempre! – convinti e consapevoli che attraverso la vita in famiglia, l’affetto, la cura, l’istruzione, la salute, passa il futuro del Paese.
Di fronte al caso limite, occorre riflettere. Ogni gestazione per altri rappresenta un caso limite. Dobbiamo dire con chiarezza che i figli non sono proprietà assoluta dei genitori e serve una comunità capace di prendersene cura, in un contesto in cui siamo davvero e per sempre – qui, sì, per sempre! – convinti e consapevoli che attraverso la vita in famiglia, l’affetto, la cura, l’istruzione, la salute, passa il futuro del Paese.
Se consideriamo la famiglia come una proprietà privata dei genitori, allora andiamo a sbattere. E infatti l’Italia sta sbattendo contro un inverno demografico dietro il quale passa la luce accecante di una terribile mancanza di visione. A partire dalla linguistica: quanto è brutta l’espressione di uso comune “fare figli”! “Fare”? Produrre? Stiamo parlando di esseri umani, di persone, titolari di diritti e soggetti unici nella loro (di ognuno e ognuna) irripetibile umanità.
Serve una comunità di intenti, capace di intervenire e sopperire alle carenze che pure possono prodursi nelle famiglie, tra le persone, in momenti e situazioni della vita. È necessario un progetto per il futuro. Bene fa Avvenire ad impegnarsi perché vengano introdotte modalità di adozione più giuste, rapide, attente al benessere reale delle persone coinvolte. E certamente è necessaria un’azione decisa, sapiente, fondata scientificamente, capace di usare i più moderni strumenti delle scienze umane, per attenuare, alleviare, ridurre drasticamente i traumi e gli errori di valutazione che avranno conseguenze potenzialmente molto dure.
Tutto deve avverarsi all’interno di una solida normativa e di una condivisa visione del futuro, capace di superare sterili polemiche partitiche o divisioni surrettizie e ideologiche o strumentalizzazioni di vicende di cronaca. Qui siamo davanti ad una sfida epocale .
È semplice – la sfida – però essenziale e si può riassumere con l’incipit dell’ultimo documento della Dottrina della Fede: Dignitas Infinita. Riflettiamo bene sui due termini: dignità – ognuno e ognuna di noi, siamo persone, non oggetti. E infinita : non può venire circoscritta, limitata da eccezioni, ristretta . Servono ottime leggi, scritte nell’interesse dei minori (del nostro futuro); si impone una visione per un futuro umano, dove ogni tipo di ripugnante mercificazione venga repressa dai Codici ma soprattutto venga contrastata da una sapiente e capillare opera di educazione. A tutti i livelli .