L'incidente di Borgo Panigale . Finché lo schermo non si rompe
Noi che siamo laureati e incensurati, noi che abbiamo ancora il posto fisso, noi che paghiamo le tasse, noi che non corriamo rischi, noi che possiamo riposarci se proviamo sonno mentre stiamo guidando.
Noi che, in realtà, acceleriamo, telefoniamo e chattiamo, sentendoci perfettamente immunizzati, nella bolla del nostro io virtuale, costantemente virtualizzato dall'idea di realtà che noi forgiamo e che le tecnologie alimentano. Noi leggiamo l’orrore degli “incidenti” (anche la terminologia è figlia della necessità di assolvere il genere umano dalle sue colpe). Anche di incidenti terribili come quello consumatosi alle porte di Bologna sulla strada d’agosto, e sentiamo montare dentro un misto di commiserazione e condanna verso chi – si presume – ha “sbagliato”, causando distruzione e dolore.
Noi “borghesi”, si sarebbe detto una volta, quando la borghesia era ancora un’idea di cittadinanza e coltivava l’etica del lavoro, della famiglia, del progresso a piccoli passi: ma non a parole, non con un like, bensì col sudore e i sorrisi, quelli della carne. Quanto è lontana la comprensione umana del dolore, ma anche dell’errore (se errore è stato), da noi che leggiamo la realtà da lontano. Dalla tv, dai giornali e dal web. Pari sono, troppi vecchi e nuovi media, nell'anestetizzare il dolore e l’errore: sono lo schermo protettivo che l’uomo ricerca e alza per dimenticare l’umanità quando non gli piace, quand'è sangue e puzza di carne bruciata, ma soprattutto quando il già “fatto” cozza brutalmente con l’idea che abbiamo di noi stessi: esseri perfetti, benestanti e immortali.
Tutte balle, che però ci piacciono assai. Aiutano a dimenticare le delusioni e la fatica. La morte. Visto da lontano, il “fatto” di Borgo Panigale è un ottimo argomento da chat, che sia chiacchiera sotto l’ombrellone («e adesso come torniamo a Milano?») o su Facebook («tutta colpa del Governo»). Ciò che non ci sovviene quando ne parliamo è il nostro ruolo. Nei fatti umani – e l’errore, il peccato, la morte lo sono – non siamo spettatori, ma parte della compagnia, e possiamo diventare protagonisti in un attimo, quando la realtà irrompe e lo schermo mediatico va in mille pezzi, scomodandoci e persino sconvolgendo le nostre sicurezze. Basta un attimo, si usa dire, eppur non ci si crede mai per davvero. Perché non crediamo più alla realtà, noi che guidiamo e chattiamo, finché lo schermo non si rompe.