La Convenzione di Faro. Fare dei nostri beni culturali un vero patrimonio comune
La ratifica della Convenzione di Faro primo passo di un percorso di partecipazione. Nella foto Palazzo Ducezio, sede del municipio di Noto, la città del barocco patrimonio dell’Unesco
Nelle scorse settimane il Parlamento italiano ha approvato la ratifica della Convenzione di Faro, un documento quadro disposto dal Consiglio d’Europa già nel 2005 al fine di promuovere e potenziare la fruizione dei beni artistici, culturali e del paesaggio. Il testo era stato firmato dall’Italia sin dal 2013 e dopo un faticoso percorso è finalmente giunto alla sua effettiva attuazione. È importante che la decisione del Parlamento non rimanga nei circoli ristretti degli addetti lavori.
Si tratta infatti di un dispositivo che tocca il rapporto di ciascun cittadino con il suo contesto di vita, di cui fanno parte gli scenari naturali, le memorie passate, i prodotti della creatività e le testimonianze di chi ci ha preceduto. La Convenzione rappresenta una svolta che apre una nuova prospettiva di condivisione nelle scelte che possono orientare la valorizzazione e l’accessibilità del patrimonio come bene comune.
Nello spirito della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che esplicitamente richiama, il testo afferma che la fruizione dei beni artistici e culturali appartiene alla sfera dei diritti fondamentali: non soltanto frequentare, ma conoscere e comprendere l’insieme complesso della nostra storia, delle manifestazioni di creatività e cultura, entra a far parte dei bisogni primari di ciascuno. È un riconoscimento di forte profilo etico, che di fatto rafforza il legame profondo che unisce l’esercizio della cittadinanza al sentimento di appartenenza ai luoghi e alla consapevolezza della propria identità. Ma c’è di più. La convenzione definisce un quadro di sinergie volte a facilitare tale diritto: soprattutto, il coinvolgimento dei territori e delle comunità che li abitano e le azioni virtuose tese a potenziare il livello di democrazia dei contesti sociali, di pluralità e di rispetto.
Si tratta di principi di massima rilevanza, che puntano a saldare la relazione tra cittadinanza e patrimonio culturale, creando le condizioni di una maggiore sensibilità e attenzione al processo della tutela e della valorizzazione delle risorse. La convenzione tende chiaramente a ispirare e a accrescere il senso di responsabilità dei cittadini, nonché il ruolo delle comunità nella gestione del patrimonio. Il concetto di “comunità di eredità” (“heritage community”) che ne deriva attribuisce ai cittadini un compito decisivo nel riconoscimento del valore dei beni storici, artistici e ambientali, non- ché nella trasmissione di questo valore alle future generazioni.
Volgendo lo sguardo a uno scenario di concretezza, cogliamo al meglio il senso di queste affermazioni: da un lato, la capacità di apprezzare il significato culturale di monumenti, musei, boschi e giardini intensifica l’attenzione alla loro custodia, dall’altro, la possibilità di poter contribuire alla loro valorizzazione responsabile li trasforma in risorse attive, capaci di mobilitare energie e competenze delle comunità, in una prospettiva che unisce l’intraprendenza, l’orgoglio civico e la tutela dei luoghi. Questa complessità si fa specchio di un voler essere che si è costruito nei secoli e che può essere trasferito e narrato non soltanto ai più giovani ma alle altre comunità con cui si viene in contatto.
È significativo che il documento del Consiglio d’Europa presenti una forte assonanza con il contenuto dell’articolo 9 della nostra Costituzione. Celebrato, a ragione, per la sua portata innovativa, il testo costituzionale collega l’impegno della Repubblica a tutelare il patrimonio e il paesaggio con lo sforzo profuso nel campo della ricerca e dello sviluppo. Questa relazione virtuosa tra il progresso (la ricerca, lo sviluppo) e l’eredità culturale innesca un processo dinamico che riconosce al paesaggio e ai beni culturali un potenziale di slancio, di positività e di sviluppo che ritroviamo nella Convenzione appena sottoscritta. Quest’ultima riconosce nel contesto sociale uno spazio di esercizio democratico che agisce in relazione e in virtù del patrimonio condiviso, conosciuto e riconosciuto dai suoi componenti.
Trattandosi di una convenzione quadro del Consiglio d’Europa, il dispositivo non ha un’efficacia giuridica diretta, ovvero non può contrastare l’ordinamento degli Stati firmatari e non impone loro azioni specifiche. Sta a ciascuna nazione valutare e disporre le opportune misure per conseguire gli obiettivi che si è deciso di accogliere. Appare improbabile che la sua sottoscrizione possa mettere a rischio convinzioni, modalità e approcci che consideriamo parte irrinunciabile e identitaria della fruizione dei beni culturali. Ciò che il documento intende accompagnare è soprattutto un cammino riflessivo, la maturazione di un approccio che ponga il patrimonio culturale in una diversa prospettiva. Il percorso pedagogico e conoscitivo che sottostà a questo nuovo, più ampio sguardo sui beni artistici e sul paesaggio va orientato verso la conquista di un più profondo sentire che arrivi a coinvolgere ciascun individuo, ciascun componente dei contesti che prendono forma nella relazione tra persone, natura e cultura.
Una immediata derivazione della ratifica dovrebbe consistere innanzitutto in un potenziamento autentico della sensibilizzazione dei cittadini verso i beni culturali e il paesaggio, attraverso una progettazione sistematica dell’educazione all’arte, all’ambiente e alla sostenibilità. Si potrebbe cominciare rafforzando il legame tra educazione civica e conoscenza della storia del-l’arte, del rapporto che lega i beni culturali ai contesti storici e sociali. L’idea di cittadinanza si completa nella fruizione consapevole dei luoghi, dei ricordi collettivi, nell’abbraccio simbolico che stringe le persone alle cose.
Ma altrettanto poderoso dovrebbe essere lo sforzo per la valorizzazione e il sostegno del desiderio dei giovani di contribuire alla promozione virtuosa dei beni culturali, soprattutto di quelli meno conosciuti, di quel patrimonio diffuso che è la principale materia del concetto di “eredità” affermato dalla Convenzione. Opere preziose e dimenticate, disseminate nei territori, possono tornare a vivere attraverso gli occhi di chi ne condivide la luce, attraverso le parole di chi può ascoltarne il ricordo.
Storica dell’arte, docente di museologia all’università La Sapienza di Roma