Escalation belliche quasi impossibili da controllare: ripudiare la guerra
Caro direttore,
senza entrare nel merito delle numerose e gravi conseguenze dell’aggressione russa, dopo il pubblico dialogo che lei ha deciso di avere con me sotto al titolo «La pace si giustifica di per sé e farla significa fermare la tragedia» (“Avvenire”, 10 maggio 2022) , vorrei precisare che per me inviare aiuti anche militari finalizzati a far rientrare l’Ucraina nei legittimi confini o ottenere una soluzione che l’Ucraina stessa ritenga onorevole (questa è la sua “vittoria”), è cosa diversa dal ritenere la guerra strumento per la soluzione delle vertenze internazionali.
Sono consapevole, caro amico, che lei ha lo stesso mio grave giudizio sull’invasione russa dell’Ucraina e si fa le stesse domande che mi faccio io (come tanti altri) sull’invio di armi sempre più “pesanti” all’Ucraina che resiste a questa disastrosa aggressione. Sono certo del fatto che lei sia uomo di pace e nutra una visione «contraria alla guerra» anche se arriva, di fatto, ad accettare il rischio di un’escalation – diciamo così – “controllata”. Rispetto questo punto di vista, ma ho imparato che le escalation belliche, una volta innescate, sono ormai difficilmente controllabili. E so che le bombe atomiche, e le altre armi di distruzioni di massa, non lo sono affatto. Anche quando si riesce a controllare queste ultime, bastano le sempre più micidiali ed evolute armi tradizionali a massacrare civili e militari (dal 1945 in poi sempre più civili che militari). Un prezzo intollerabile, sebbene ci sia chi è disposto a pagarlo. Per questo il ripudio della guerra (art.11 Cost.) è oggi più attuale, esigente e lungimirante che mai.