L'emergenza educativa è nostra. Deflagrazione del desiderio
Le recenti violenze di Caivano e Palermo, protagonisti gli adolescenti, spuntano come schegge infuocate nell’orbita mediatica sottolineando ai nostri occhi, ancora una volta, se per caso l’avessimo dimenticata, l’emergenza educativa. In realtà si tratta di un tema universale, quello degli enfants terribles di cui raccontava Jean Cocteau già nel 1922, capace di andare oltre ogni confine storico, geografico e sociale, spesso irrisolto. Un nervo scoperto verificabile ad ogni passaggio generazionale, oggi semmai piuttosto aggravato dalla rivoluzione digitale che tutti sperimentiamo, nel bene e nel male, specialmente se siamo genitori o abbiamo a che fare coi ragazzi. In particolare i docenti, che proprio in questi giorni si apprestano a tornare in aula, forse un po’ amareggiati dai recenti fatti di cronaca, sanno che bisogna ricominciare sempre da capo. Ma se non fosse così, poi, a ben riflettere, che vita sarebbe? Non è questo il vero compito che le madri e i padri sono chiamati a svolgere?
Nell’ormai lontano 1999 il grande regista americano Stanley Kubrick nell’ultima opera-testamento, Eyes Wide Shut, aveva profetizzato la nuova frontiera pornografica appena varcata, al punto tale che la colonna sonora della famosa pellicola, in tanti sensi non immediatamente compresa, è diventata, in chiave sarcastica, la musichetta di un recente spot pubblicitario, quasi a voler esorcizzare l’inquietante discesa negli inferi del castello stregato che Tom Cruise, l’attore protagonista, compiva in quel film, irresistibilmente attratto dalla tentazione del proibito.
Stiamo parlando della deflagrazione del desiderio: la perniciosa illusione, che le nuove tecnologie provocano e assecondano, in base alla quale per essere felici bisogna superare ogni limite, provare tutte le emozioni, sprofondare nel delirio, diventare belli, ricchi e famosi, finendo per smarrirsi nei meandri dell’inconscio, aderendo supini a qualsiasi sollecitazione, preda degli istinti, senza più controllo. Gran parte della cultura novecentesca, enfatizzando la libertà fine a sé stessa, ha creato le premesse di questa sbornia collettiva a cui la grande maggioranza degli adulti purtroppo soggiace. Alcune maestre tempo fa mi confidavano perplesse che certi genitori, consegnando loro i figli piccoli, quasi fossero pacchi postali, a stento riuscivano a staccare il cellulare dagli orecchi. Come possiamo quindi meravigliarci se diversi fra quei bambini, non tutti per fortuna, quando entreranno nel cerchio di fuoco dell’età evolutiva, saranno incapaci di accettare “i ceppi della sapienza” che nella visione del Siracide (6, 18-40) potrebbero garantire ai giovani la protezione più potente e la gloria maestosa?
Vogliamo sperare che i governanti, pronti a riunirsi in Consiglio dei Ministri allo scopo di assumere le decisioni più efficaci in modo che la Rete, ad esempio, non resti un terreno selvaggio dove vige la legge del più forte e chi commetta un danno si senta affrancato dal dovere di risarcire la vittima, abbiano la consapevolezza della grande responsabilità a cui sono chiamati, anche perché non sarà certo sufficiente, ammesso e non concesso che sia tecnicamente possibile, ostacolare l’accesso dei minori ai siti porno per mettersi alle spalle il degrado da cui nascono i gesti più estremi. Sulla scia di quello che ha detto ai giornalisti papa Francesco, nel volo di ritorno dalla Mongolia, a chi gli chiedeva lumi al riguardo, nelle periferie, anche esistenziali, dalle “villas miseria” al “Parco verde”, bisogna andarci a vivere di persona. Stare vicino a chi è stato ferito, condividendo i passaggi più tortuosi della sua vita, senza abbandonare chi lo ha fatto soffrire, significa non accontentarsi dei precetti impartiti e violati. Vuol dire occupare la posizione, quale che sia, invece di lasciarla vacante: il problema dell’altro dovrebbe diventare il nostro. Legiferare è importante, ma non basta: se vogliamo costruire una società educante, dobbiamo sentirci chiamati tutti in causa.