Africa. Decine di morti in fosse comuni. In Kenya una setta dell'orrore
Sono già più di 240 i corpi trovati sepolti in fosse comuni in Kenya. Sotto accusa i leader di una setta che si dice cristiana
Almeno 240 morti in oltre 50 fosse comuni scoperte in due mesi. Sono queste le drammatiche conseguenze delle pratiche di una setta che, nel sud del Kenya, sarebbe riuscita a nascondere alle autorità la macabra verità per circa vent’anni. Si tratta di «uno dei più gravi massacri legato a un culto nella storia recente del continente africano». Le operazioni di riesumazione sono in corso e, nonostante l’area circoscritta in una foresta vicino alla cittadina turistica di Malindi, non si sa quando le indagini sulla “setta del digiuno” saranno finite. «Le vittime recuperate sono attualmente 243», ha dichiarato Kithure Kindiki, funzionario del ministero dell’interno keniano. «Temiamo però che almeno altre 600 persone siano sepolte nella foresta. Secondo i nostri calcoli – ha sottolineato Kindiki – queste morti sono più di quelle che il Paese ha subito negli ultimi cinque anni a causa del terrorismo islamico». Una storia inquietante che ha sorpreso gran parte della popolazione e sta imbarazzando il nuovo governo del presidente keniano, William Ruto.
«Mi prendo tutta la responsabilità rispetto a questa vicenda vergognosa – ha detto il capo di Stato del Kenya dopo settimane di relativo silenzio –. Ancora non riesco a capire come una realtà tanto grave sia riuscita a passare inosservata durante la mia amministrazione». Funzionari governativi locali, forze di sicurezza e servizi di intelligence sembravano non sapere che dal 2003, un ex tassista della capitale keniana, Nairobi, improvvisatosi poi “predicatore dell’apocalisse”, sia stato capace di convincere centinaia di persone a digiunare con la promessa che avrebbero incontrato Gesù. La Good news international church (Gnic), comunemente definita come “il culto di Shakahola”, nome della foresta dove le autorità stanno scavando, era un movimento religioso fondato da Paul Nthenge Mackenzie e dalla sua prima moglie. Promuovevano una dottrina “anti-occidentale”, definendo i servizi come assistenza sanitaria, istruzione e sport dei “mali della vita occidentale”, e giudicando Stati Uniti, Nazioni unite e la chiesa cattolica dei pericolosi “strumenti di Satana”.
Gli insegnamenti della setta erano quasi interamente dedicati alla cosiddetta “fine dei tempi”. Le contraddizioni di Mackenzie, però, erano lampanti. Il “guru” keniano, noto alle autorità dalla fine degli anni novanta, professava il digiuno forzato sfruttando l’ignoranza della popolazione che viveva nell’area costiera del Paese. Con le sue mogli, invece, era proprietario di terreni che usava per coltivare frutta e verdura. Durante gli anni era anche riuscito a convincere alcune persone a fare donazioni in denaro o materiali. « Nel 2016 un membro della setta avrebbe dato a Mackenzie una sua proprietà sull’isola di Lamu dal valore di 140mila dollari», sostiene un rapporto dell’amministrazione locale. «Il predicatore utilizzava il denaro dei suoi seguaci anche per acquistare proprietà nelle città di Mombasa e Malindi. Tra le varie attività – continua l’informativa – era riuscito a finanziare un canale televisivo per trasmettere il suo messaggio e convincere altri membri a vendere le loro proprietà e a donare ingenti somme di denaro alla Gnic».
Durante gli anni Mackenzie è stato arrestato più volte ma sempre rilasciato dopo alcuni giorni. Fino a quando, lo scorso 15 aprile, con la scoperta da parte della polizia dei primi quattro cadaveri sotterrati in una fossa comune, il predicatore ha deciso di arrendersi alle autorità. Il responsabile del “massacro di Shakahola”, come lo definisce la stampa, si trova ora in una prigione della città costiera di Mombasa. A breve verrà giudicato e sentenziato per le sue azioni, sebbene gli sviluppi della storia sembrino lontani da una conclusione. Settimana scorsa è iniziata la seconda fase delle autopsie per 129 cadaveri riesumati negli ultimi giorni. Diverse vittime trovate nella foresta sono invece morte mentre venivano trasportate in ospedale o pochi giorni dopo essere state ricoverate.
A causa delle piogge in corso, la squadra di patologi in loco ha dovuto sospendere più volte le ricerche. Il numero dei morti cresce di settimana in settimana. Un’altra seguace salvata nella foresta è morta di recente in ospedale dopo aver resistito a ingerire qualsiasi cosa nonostante gli sforzi degli operatori sanitari. Ad oggi sono state soccorse almeno 91 persone in totale, 19 delle quali si sono già ricongiunte alle loro famiglie. Secondo delle fonti in Kenya, la stampa locale sta subendo «molte pressioni da parte del governo affinché non escano fuori troppe notizie», mentre la stampa internazionale continua invece a dare rilevanza all’argomento.
Man mano che il numero dei morti aumenta, anche i dubbi riguardo a questa vicenda si moltiplicano. Secondo l’Agenzia di stampa francese (Afp) in Kenya, i documenti depositati in tribunale affermano che «a numerosi cadaveri sono stati rimossi gli organi ». La polizia sostiene infatti che la leadership della setta, di cui sono state arrestate almeno 34 persone, fosse coinvolta in un traffico di organi che va oltre la teoria del mero digiuno. «I rapporti post-mortem hanno stabilito parti mancanti del corpo in circa cento cadaveri che sono stati riesumati in queste settimane – ha spiegato Martin Munene, ispettore di polizia, in una dichiarazione giurata presso un tribunale di Nairobi –. Si ritiene che il commercio di organi del corpo umano sia stato ben coordinato coinvolgendo diversi attori».
Munene ha aggiunto che Ezekiel Odero, un altro predicatore di alto profilo arrestato il mese scorso in relazione alla stessa vicenda e rilasciato su cauzione poche settimane dopo, ha ricevuto «enormi transazioni in contanti» da alcuni seguaci di Mackenzie. Le autorità sembrano quindi intenzionate a congelare più di 20 conti bancari appartenenti a Odero. I n Africa orientale sono state scoperte diverse reti di trafficanti di organi umani, un doloroso commercio che spesso è legato alle persecuzioni contro gli albini africani. L’Uganda ha invece approvato questa settimana una legge contro tale traffico. Negli ultimi anni i media ugandesi hanno esposto vari casi in cui le donne reclutate per lavori domestici in Medio Oriente sono state forzate a sottoporsi a procedure mediche, dopodiché i loro reni sono stati venduti a reti di trafficanti globali.
«La legge sulle donazioni e sui trapianti, la prima del suo genere in Uganda, proibisce qualsiasi commercio di organi e tessuti umani – afferma un comunicato governativo –. Le punizioni includono l’ergastolo e multe onerose». La chiesa cattolica, molto influente nel paese, e l’Ufficio Onu contro la droga e il crimine (Unodc) avevano più volte denunciato la prevalenza del traffico di organi in Uganda, Tanzania e Kenya.
Continuano ad essere identificate altre tombe e fosse comuni, ma saranno scavate dopo il completamento dell’autopsia su 129 corpi già recuperati. Sarà quindi necessario liberare dello spazio nell’obitorio dell’ospedale di Malindi dove da aprile vengono conservati i corpi. «Purtroppo abbiamo prove di più tombe nella foresta di Shakahola – ha concluso Kindiki –. Trasferiremo i cadaveri in un obitorio temporaneo che ci è stato fornito da un’altra struttura sanitaria di modo che altri corpi possano essere conservati a Malindi». La luce alla fine della galleria sembra ancora lontana, per questo le autorità hanno annunciato che le ricerche verranno estese alle vicine aree di Tsavo e Galana Kulalu dove si teme il ritrovamento di molte altre vittime.