Opinioni

Cresce il peso della colpa. Dissesto idrogeologico e abusi edilizi

martedì 6 novembre 2018

Che cos’altro dobbiamo ancora vedere? Che cos’altro ancora piangere? I milioni di alberi abbattuti dalla furia degli elementi nel Bellunese, le nove vite cancellate dall’acqua in quella casetta di Casteldaccia, lo strazio nelle contrade di un Paese ancora una volta segnato e devastato da disastri che sono più umani che naturali, sembrano aver provocato finalmente un soprassalto di consapevolezza. È una sensazione. E noi speriamo che sia molto di più.

Appena una settimana fa, dopo i primi colpi di maglio del "maltempo" di questo autunno fuori misura, abbiamo scritto un editoriale intitolato «È l’Italia il cantiere. La priorità ambientale e climatica». Chiedendo di «fermare» l’eccesso e l’uso maldestro di cemento e di asfalto, i cantieri "cattivi", abusivi e no, che consumano terra e salute. E di incentivare i cantieri "buoni" che salvano le vite, dando lavoro vero e aiutando sul serio l’economia. I soldi per tutto questo «sono davvero un investimento sicuro e un lavoro degno e certo». Purtroppo dobbiamo ripetere parola per parola, facendo di nuovo eco alle tante inchieste che "Avvenire" ha dedicato al dissesto idrogeologico del nostro Paese, aggravato da sconsiderate politiche di rapina del territorio, e dagli evidenti mutamenti climatici, che ormai solo negazionisti irresponsabili possono non riconoscere.

La pioggia battente, le esondazioni, le frane, i crolli, le strade cancellate, i boschi ridotti a tabula rasa, le chiazze marroni che colorano laghi e mari, le auto accartocciate, i morti, gli scomparsi. Tutto questo, tutta l’indignazione e la rabbia, tutti gli impegni e le promesse ormai non possono essere solo qualcosa di passeggero, un rito collettivo d’occasione. Troppe volte piccoli e grandi disastri sono stati velocemente dimenticati. Anche se recenti. Già dimenticati mamma Stefania e i piccoli Christian e Nicolò, travolti il 4 ottobre nel Vibonese dall’esondazione di un corso d’acqua, fiume quasi anonimo come quello che si è portato via nove vite nella palermitana contrada Dagale Cavallaro. È ingiusto per loro e per l’Italia. Un Paese senza memoria è destinato a continue tragedie, ambientali e no.

Tutto questo, infatti, non è solo colpa delle "bombe d’acqua", della tropicalizzazione del Mediterraneo, dei tifoni di casa nostra. Lo documentiamo qui: il luogo dove sorgeva la villetta invasa dal fiume Milicia era l’area dove con certezza si sarebbe verificata un’esondazione. Lo scrivevano i tecnici della Regione Sicilia tre anni fa in un documento pubblico. Per questo lì non doveva stare quella casa, abusiva per la legge e per la vita. Per questo il condono edilizio, qualunque condono edilizio, è sbagliato sempre. Perché c’è il rischio che diventi una sentenza di condanna a morte. Condonato, ma poi invaso dal fango o crollato sotto una frana. No, non si può più fare finta di niente. Non si possono cercare responsabilità o scuse che non stanno in piedi.

Colpa degli ambientalisti, è arrivato ad accusare il ministro Salvini, appena appena corretto dal premier Conte. No, colpa di una politica nazionale e locale incapace di gestire e difendere un territorio. Anche a rischio di essere impopolare, di perdere quel consenso che tanta politica vecchia e nuova ha come unico obiettivo. Si usi qui "la ruspa" cento volte evocata, una ruspa buona, una ruspa che salva eliminando illegalità e rischi mortali. E se i sindaci non se la sentono, accampando scuse, sia lo Stato a intervenire. Mandi l’Esercito, il Genio militare. Questo sì sarebbe un utilizzo per rendere più sicure strade e case dei cittadini. Mano ferma, applicando leggi che ci sono, approvando finalmente quella sulla "difesa del suolo" bloccata da inaccettabili interessi nella passata legislatura a metà del cammino. L’abusivismo non può più avere cittadinanza nel Belpaese, e neanche i condoni. Se una casa è abusiva perché a rischio non può, non deve essere condonata. Mai. Si aiuti chi ha davvero bisogno di una casa, ma lontano dai pericoli e rispettando leggi dello Stato e leggi della Natura. Perché prima o poi la Natura le sue ce le ricorda.

L’acqua va in discesa, sempre. Se un fiume si riempie, da qualche parte si deve espandere. Se un terreno è fragile prima o poi franerà. Li puoi controllare, spendendo bene i fondi, come stava facendo la struttura di missione #Italiasicura che il governo gialloverde ha chiuso precipitosamente. Sbagliando. Si possono e si devono curare e pulire i corsi d’acqua, si devono curare e pulire i boschi. Si possono e devono difendere i versanti. Ma si può e si deve anche allontanare i manufatti che uomini hanno piazzato nel posto sbagliato. Non possiamo permetterci altri drammi. Al prossimo conteggio dei morti, più di qualcuno dovrà cominciare a pagare per responsabilità come minimo colpose. Per non continuare a dire 'si poteva evitare ma non lo si è fatto'. Antonio Maria Mira