Università. Come corsa ad handicap considerare le differenze
Vanno tenuti in conto territorialità e impatto sociale In una regata monotipo vince l’equipaggio che arriva prima al traguardo. Poiché le barche sono tutte uguali, ovvero dello stesso tipo, la vittoria dipende dalla capacità dell’equipaggio di regolare le vele e di scegliere la rotta migliore in base alle condizioni meteorologiche.
Nelle regate in cui partecipano barche di tipo diverso non vince chi arriva prima al traguardo, ma chi ha il miglior tempo compensato, calcolato assegnando un rating a ogni barca, un numero che tiene conto delle dimensioni della barca, della sua età e di tanti altri fattori. Il calcolo del rating è a carico di enti internazionali, la cui imparzialità è unanimemente riconosciuta dai regatanti. In quindici anni, ho fatto tantissime regate come prodiere, su molte barche diverse. Ne ho perso tante ma qualcuna l’ho vinta. Quella che ricordo di più è una regata costiera a Livorno. Tirava un forte vento di grecale e la mia barca, sempre ultima, è arrivata prima esclusivamente per il suo rating. Ovviamente è stata la regata della vita di questa barca, la prima e l’ultima che ha vinto. Sono in corso le regate accademiche, in cui i dipartimenti universitari si affrontano per ottenere il prestigioso titolo di eccellenza. Il girone eliminatorio si è concluso, con grande soddisfazione di 352 dipartimenti che affronteranno la fase finale. Il titolo di eccellenza sarà assegnato ai primi 180 dipartimenti, scelti in base a un progetto da attuare nei prossimi cinque anni. Non si tratta solo di un riconoscimento formale ma di un cospicuo finanziamento: fino a 8 milioni di euro da usare per reclutare nuovi docenti, creare laboratori e innovare la didattica. Tornando al mio caso personale, sono il direttore del Dipartimento di Informatica dell’Università di Pisa e, purtroppo, ho saputo che il mio dipartimento non ha superato il girone eliminatorio. Con i miei colleghi sto cercando di capire il perché, per affrontare le prossime regate accademiche sperando di vincerle.
La comunità accademica si sta chiedendo se queste regate accademiche si sono svolte correttamente, ovvero se le regole sono state definite con cura e la valutazione svolta con oggettività. Il tema è molto delicato perché dall’esito delle regate può dipendere il futuro di un dipartimento che, con 8 milioni di euro, può fare un grande balzo in avanti o può mantenere la sua posizione di prestigio, acquisita dopo anni di grande impegno scientifico. Senza entrare nei dettagli delle regole, che richiederebbe una conoscenza non banale di concetti matematici e statistici, è possibile fare alcune considerazioni di carattere generale, per mantenere vivo un dibattito che interessa il sistema Paese. Se in una regata non monotipo è necessario definire un rating che tiene conto delle caratteristiche della barca, in una regata accademica quali elementi contribuiscono a definire il rating di un dipartimento? Le regole attuali tengono conto della numerosità del dipartimento e della qualità della ricerca, anche svolta in settori scientifici diversi. Ciò che manca, però, è un fattore che tenga conto della territorialità e dell’impatto sociale, del fatto cioè che il dipartimento si trovi in un contesto in cui è oggettivamente più facile, o più difficile, fare ricerca, trovare fondi, interagire con il territorio.
Le recenti regate accademiche hanno dimostrato che moltissimi dipartimenti delle regioni meridionali e insulari non sono stati in grado di superare il girone eliminatorio e di competere al titolo di eccellenza. Forse, se si fosse tenuto conto anche del forte fenomeno migratorio dei giovani, che dal Sud vanno a studiare al Nord, della diversa distribuzione di attività produttive e industriali, della cronica carenza di infrastrutture logistiche, il risultato delle regate accademiche sarebbe stato diverso. Ovviamente, inserire questo fattore nel modello matematico definito dall’Anvur non è un’impresa semplice, ma neanche calcolare il rating delle barche lo è. Vista la posta in gioco è necessario affrontare questa sfida. In conclusione, se si vuole davvero che 'gli ultimi siano i primi' è tempo di rivedere non solo le regole ma soprattutto il concetto di eccellenza, sostituendolo con qualcosa che sia più inclusivo e dinamico, che tenga conto anche della terza missione dell’università, il suo impatto sociale.
direttore del Dipartimento di Informatica, Università di Pisa