In ascolto del dolore. Chiniamoci sulle ferite di chi ha scelto l'aborto
Caro direttore, vorrei tornare su due passaggi che mi hanno particolarmente colpito dell’intervista al cardinale Gualtiero Bassetti pubblicata su 'Avvenire' del 16 luglio 2020. Sono legati da un filo conduttore. Mi riferisco al punto dove il presidente della Cei indica «un cambio di mentalità collettiva che ha mutato, fino a rovesciare completamente, la concezione della natalità: non più una ricchezza per i genitori e la società, bensì una causa di miseria, un impedimento al successo e, in alcuni casi, una fonte di angoscia»; e poi dove cita Giorgio La Pira, per il quale «i bambini, ovvero i germogli nuovi, devono essere custoditi come la ricchezza suprema della città intera».
Il rovesciamento del concetto di natalità negli ultimi decenni è stato favorito dalla legalizzazione dell’aborto, attuata per la prima volta nella Russia rivoluzionaria e non ancora sovietica il 18 novembre 1920: ci apprestiamo dunque a varcare il centenario d’una legge che globalmente ha prodotto milioni di bambini non nati, un’ecatombe che supera di gran lunga i morti di tutte le guerre combattute in questi cento anni. Il piano inclinato della denatalità lungo cui sta scivolando l’Occidente, e l’Italia in modo ancor più marcato, trova qui una ragione: quante mamme e quanti papà non sono venuti al mondo e non hanno potuto dunque fruttificare a loro volta a causa delle interruzioni di gravidanza?
Questi bambini non nati sono i nuovi martiri innocenti, e per umano paradosso – ma nel piano della Provvidenza nulla è paradosso – rappresentano i germogli d’una nuova speranza, in particolare per quei genitori, e sono tanti, che si chiedono: dov’è ora il mio bambino? In anni di ascolto del dolore prodotto dalle ferite dell’aborto la nostra associazione ha raccolto spesso questa angosciosa domanda. E la risposta non può che essere una: questi bambini non sono scomparsi, la loro anima immortale vive e conforta quei genitori che, per motivi che solo Dio saprà giudicare, hanno scelto la via dell’aborto. Ma soprattutto, come il sacrificio dei bambini non nati – i più innocenti fra gli innocenti – è richiesta di misericordia elevata a Dio per i loro papà e le loro mamme, così il perdono accolto può far nuovi i cuori e la società. Caro direttore, di fronte alla piaga dell’aborto, chirurgico e chimico, credo che sia tempo per tutti di abbandonare i toni da crociata e chinarsi invece sulle ferite di coloro che sono passati per questa terribile esperienza: sarà solo attraverso la loro guarigione che il mondo potrà vedere finalmente l’abisso e allontanarsene inorridito.
Sacerdote, presidente dell’Associazione Difendere la vita con Maria