Opinioni

Ai giochi politici si replica col silenzio? Non sempre, la fede non è un gioco

Marco Tarquinio giovedì 23 maggio 2019

Caro direttore, a pochi giorni dalle votazioni europee, a una settimana esatta dal sabato del silenzio, ecco Matteo Salvini, ministro e leader della Lega, detentore di poco meno della metà delle quote del governo in carica, impegnato a sbandierare ripetutamente i simboli del Cristianesimo. Un popolo ha urlato allo scandalo. Vescovi, preti e mondo laicale hanno fatto riferimento a lui e alla ostentazione della corona del Rosario dicendolo un gesto irriverente o strumentale. «Nel bene o nel male, purché se ne parli», parafrasi de “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde, esattamente la logica di Salvini e del suo team. E noi, anch’io, siamo caduti nel suo tranello. Usati perché si parlasse di lui. Chiaro che sono dispiaciuto quando vedo situazioni, strumentalizzazioni o sopraffazioni a livello di diritti fondamentali non rispettati (migranti e non solo)... ma ho da rimproverare anche me stesso: perché non ho taciuto, perché ho dovuto cedere alla tentazione di fare riferimento ai suoi gesti (a livello di “contenuto”, intendiamoci, non giudicando la persona Salvini) e non ho avuto la prudenza e la lungimiranza di aspettare che, come neve al sole o una bolla di sapone, rientrassero clamore e preoccupazioni?
Non si poteva tacere, mi hanno detto tanti amici che vivono in questa mia terra lucana e altrove. Ma mi sembra proprio che abbiamo fatto il suo gioco, ci siamo lasciati usare e abbiamo fatto uno splendido assist all’abile Matteo, in vista del voto europeo. E allora, direttore, porgo le mie scuse al signor Ministro. Che ha gioco facile quando, dagli schermi di “Quarta Repubblica” su Rete4, si domanda platealmente: che male c’è se un cristiano invoca Dio e ricorre al suo nome e a quello della Madonna? Perché si scandalizzano i vescovi per questo e non per altre ragioni? Già, riconosciamogli il suo merito: ha tirato tanto la corda, sparando su Caritas e altre realtà e strutture di servizio dei poveri e dei deboli, che ormai facciamo fatica a essere sempre lucidi e sereni e diventiamo tanto emotivi da fare il suo gioco, senza accorgercene. A Salvini ha il merito di saperci usare senza che nemmeno ci accorgiamo di prestarci al suo piano.

don Giovanni Lo Pinto


Caro direttore, da qualche secolo, e certo non solo in questa mia ligure e appenninica Val di Vara, stiamo insegnando ai bambini del catechismo che il secondo comandamento – Non nominare il nome di Dio invano – proibisce di «bestemmiare», cioè di lanciare insulti contro Dio e la Vergine Maria. Siamo in parte scusati di questa che è oggettivamente una deformazione del comandamento mosaico, dal momento che i nostri catechismi sono nati per i “rudi”. Gli illetterati infatti non conoscono i trucchi a cui ricorrono gli uomini di potere e perciò possono commettere peccati (di lingua) rumorosi e sgradevoli, ma innocui. Gli istruiti e i potenti, invece, hanno sempre saputo che cosa quel comandamento significava, e molti l’hanno abbondantemente violato. Il comandamento Non nominare il nome di Dio invano proibisce di usare il nome di Dio per coprire le proprie intenzioni di non rispettare i patti o di imporre fardelli importabili o di fare violenza agli indifesi. Sono i peggiori delitti di chi si proclama credente ma usa la sua supposta fede per coprire le sopraffazioni. È questa la vera bestemmia: l’uso strumentale del nome di Dio al servizio di cause estranee alla fede o deliberatamente votate al male. È una dichiarazione antievangelica la frase In God we trust (Noi crediamo in Dio) sul dollaro americano, perché non si può mescolare Dio con il denaro. È stata una bestemmia omicida il Gott mit uns (Dio è con noi) scritto sulle cinture dei soldati nazisti. Come tacere allora dei Vangeli e dei Rosari usati come bandierine da chi cerca – come il «divisore» – di lucrare sulle fragilità dei credenti? Come tacere dell’arruolamento blasfemo di Benedetto, Brigida, Caterina, Cirillo e Metodio, Teresa Benedetta della Croce per suscitare una bordata di fischi contro il Papa in una piazza di partito? Qualcuno pensa che si tratta di eccessi sopportabili, perché questi soldatacci portano le insegne cristiane e ci difendono dai nemici della fede. Anche questa è una bestemmia. Nemici della fede sono quelli che diffondono il veleno della dissimulata menzogna e della divisione.

don Sandro Lagomarsini

Belle, profonde e coinvolgenti le lettere di questi due amici sacerdoti dalla penna buona (don Giovanni è responsabile della comunicazione della sua diocesi, don Sandro è conosciuto e amato da tanti anche per il suo contributo ad “Avvenire”). Dicono quasi tutto, anche se apparentemente l’una il contrario dell’altra. Provo perciò, per quel che so e posso, a fare unità. Sono uomo di comunicazione e vedo giochi e calcoli di Matteo Salvini, perché sono scoperti e deliberatamente ripetuti: prendersi la Croce, il Rosario e la scena deviando, per di più, con un altro e più alto clamore polemico l’attenzione dalle serie di disavventure giudiziarie di esponenti del suo partito (che, pure, da incallito garantista quale sono continuo a considerare parte di un processo tutto da fare e nel quale non sono ammesse sentenze pregiudiziali). Vedo anche l’intento di ammantare di devozione una predicazione politica che arriva a fare del Vangelo il mattone di un “muro” e non – come invece è – il progetto di un grande “ponte” o, se preferite, il tracciato vivo della strada della salvezza, che verrà domani e che accade, deve accadere, qui e ora dentro la nostra umanità. Via e ponte che non sono quelli di una stolida “accoglienza” purchessia, caricatura confezionata ossessivamente da propagande divisive e persino disumane, ma quelli che ci tengono saldamente collegati alla nostra comune umanità e sono illuminati dalla fede cristiana.

Baciare la croce e invocare la Madonna e i Santi non è certo scandaloso se avviene senza ostentazioni e appropriazioni, e se è segno di un’adesione che davvero tocca e cambia la vita e anche le parole. Ma il punto, qui, è se può rappresentare un calcolo vincente dal punto di vista comunicativo e della resa elettorale visto che ricorre al “linguaggio dei semplici”. Può darsi, ma vedo anche tanto sconcerto per gesti che dovrebbero dire umiltà e sono stati fatti con orgoglio. Si possono fare giochi anche sulla fede, ma la fede e i suoi simboli non sono mai un gioco. E soprattutto non tutto può essere ripagato con la moneta del silenzio. Il silenzio è d’oro, ma pesa come piombo quando rischia di essere interpretato – e dunque, stavolta sì, usato – come assenso, acquiescenza, ignavia o addirittura benedizione. È successo, lo sappiamo, in alcuni frangenti storici, ma in tanti altri i cattolici e i cristiani non hanno affatto esitato: controcorrente, oltre ogni calcolo, con giusta misura, in retta e ferma coscienza.


Caro don Giovanni, grazie dunque per l’acuta riflessione, e però ricordiamo sempre che c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare. Questo non è un tempo per tacere. E l’emotività non c’entra nulla: il potere da sempre cerca di usare anche i segni religiosi per rassicurare e far inginocchiare gli uomini, le donne e le loro coscienze, per svuotare di forza e di verità le parole e i gesti, per rimpicciolire la fede, bisogna semplicemente non dimenticarlo, non assecondarlo e non temerlo.

A te, caro don Sandro, dico altrettanto semplicemente grazie per la rapida ed efficace “lezione” sulla bestemmia che proprio l’esercizio del potere – di qualunque potere – può scandire, travestendola persino da preghiera. L’avevo appresa da ragazzo, ho cercato di farne tesoro e ho passato buona parte della mia vita nutrendo la speranza di non doverla sentire mai come rivolta a me e neppure più come rivolta da altri. Continuo ad augurarmi che chi ha responsabilità politiche – non solo nel nostro Paese, non solo se cristiano – la prenda sul serio. E mi spendo per questo. Il vescovo Luigi Bettazzi, che fu padre conciliare, ieri ci ha ricordato che abbiamo anche il dovere di pregare per questo, pregando anche per Salvini. Di solito tendo a darlo per scontato, ma è vero che di questi tempi nulla lo è più. Meglio ripetercelo.