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Usa. Corsa alla Casa Bianca, dem in affanno con Kamala Harris. E le sparate di Trump

Anna Maria Brogi martedì 13 febbraio 2024

La vicepresidente degli Stati Uniti Kamala Harris e il presidente Joe Biden in un recente evento elettorale in Delaware

Se dopo quattro anni di silenzio, e a meno di nove mesi dalle elezioni per la Casa Bianca, la vicepresidente Kamala Harris deve dichiararsi «pronta a servire come leader» vuol dire che tra i democratici la situazione è grave. Ma anche tra i repubblicani non si scherza, dopo che lo sfidante in pectore, l'ex presidente Donald Trump, ha detto che la priorità per la sicurezza degli Stati Uniti non è quella di difendere gli altri Paesi Nato. Seminando il panico in Europa e lo sconcerto tra i meno trumpiani dei conservatori.

L'età avanzata dei due contendenti è un dato di fatto: quando si voterà, il 5 novembre, avranno 82 anni Biden e 78 Trump. Con il primo che infilza una gaffe dopo l'altra (l'altro giorno ha detto «Messico» invece che «Egitto»), e che il procuratore speciale Robert Hur ha definito «con poca memoria» nel rapporto sulla diffusione di documenti segreti durante la sua vicepresidenza che pure lo scagiona. E con il tycoon che delle sparate a effetto si è sempre fatto vanto e che considera colpi da maestro quelli che altri derubricherebbero a goffaggine e gaffe.

In queste settimane la Casa Bianca, in calo di gradimento anche per il sostegno all'offensiva israeliana a Gaza, cerca di rispolverare l'immagine della vice. Intervistata dal Wall Street Journal, Harris ha voluto rassicurare sui rischi legati all'età del presidente e all'eventualità che, in un prossimo mandato, debba sostituirlo: «Sono pronta, non c'è dubbio». Non la pensano così gli americani, che su di lei esprimono un gradimento persino inferiore a quello per il commander in chief.

Il sondaggio: Trump in testa di 3 punti, per l'80% Biden è troppo vecchio

Un sondaggio Reuters/Ipos dà Trump in vantaggio di 3 punti su Biden, che l'80% degli intervistati giudica troppo vecchio per governare. La metà degli americani ritiene inoltre che il presidente abbia ricevuto un trattamento di favore nel rapporto del procuratore speciale in cui si ammette che non aveva garantito la sicurezza dei documenti riservati ma non lo si incrimina.

Le regole dei due partiti e la possibilità di altri nomi alle convention

Neanche all'interno del partito la candidatura di Harris convince tutti, per quanto una sua esclusione a correre come vice rischi di far perdere il voto degli afroamericani. Volendo ipotizzare altri nomi, i media fanno quelli dei governatori della California, dell'Illinois e del Michigan: Gavin Newsowm, J.B. Pritzker e Gretchen Whitmer. In caso di contrasti, un ruolo decisivo potrebbero giocarlo i superdelegati (dirigenti ed ex dirigenti dem), che hanno il diritto di esprimere la loro preferenza in un'eventuale seconda votazione. Ma questo riaccenderebbe le polemiche sul ruolo giocato dalle élite del partito nella selezione dei candidati, come successe nel duello tra Hillary Clinton e Bernie Sanders.

E se per motivi di salute, vista l'età, o di guai giudiziari si dovessero sostituire i candidati dopo la convention? Le regole sono diverse per i due partiti. Per quanto riguarda i democratici in caso di «morte, dimissioni o invalidità» del candidato, il presidente del partito «conferirà con la leadership democratica del Congresso e associazione dei governatori democratici e riferirà» ai circa 450 membri del comitato nazionale, che sceglieranno un nuovo candidato. E anche un nuovo vice (gli americani lo chiamano «compagno di corsa») nel caso in cui Harris fosse candidata alla presidenza. Sarebbe però una corsa contro il tempo, in quanto le schede per il personale militare che vota all'estero vengono spedite un paio di settimane dopo la fine della convention e il voto di persona anticipato comincerà il 20 settembre in Minnesota e South Dakota.

Le regole della convention repubblicana, che si terrà a luglio, non prevedono invece la possibilità di sostituire il candidato che abbia ottenuto più delegati alle primarie (prevedibilmente Donald Trump) neppure qualora fosse condannato per uno o più crimini.

Trump si corregge sulla Nato: «Io l'ho resa più forte»

Dopo la gaffe, o sparata, sulla Nato, che sembrava incoraggiare la Russia ad attaccare quei Paesi non in regola con la richiesta dell'Alleanza Atlantica di destinare alla difesa almeno il 2% del Pil, Trump ha provato a correggersi sui social: «Io ho reso la Nato forte». «Quando ho detto ai 20 Paesi che non pagavano la loro quota che dovevano farlo, e ho detto loro che se non l'avessero fatto non avrebbero avuto la protezione militare degli Stati Uniti - riassume - i soldi sono arrivati. Dopo tanti anni in cui sono stati gli Stati Uniti a pagare il conto, è stato uno spettacolo bellissimo». Insomma, scherzava. O meglio, anche questa volta giocava nel ruolo che più sente suo: quello del provocatore. Con Biden alla Casa Bianca, argomenta, è toccato nuovamente agli Stati Uniti sostenere i costi maggiori. «Ora, senza di me a dire che (quei Paesi, ndr) devono pagare, lo stanno facendo di nuovo», accusa. Il riferimento è al costo della guerra in Ucraina, per la quale i repubblicani al Congresso stanno dando filo da torcere all'Amministrazione sullo stanziamento di altri fondi. Lo speaker alla Camera, Mike Johnson, ha annunciato che non voteranno il pacchetto di aiuti perché «la sicurezza nazionale inizia ai nostri confini». Tradotto: a Trump interessa fermare i migranti che entrano dal Messico, molto di più delle guerre (e della pace) al di là dell'oceano.

Il tycoon ha chiesto inoltre alla Corte Suprema di sospendere il verdetto contro la sua immunità nel processo sull'assalto a Capitol Hill del 6 gennaio pronunciato la scorsa settimana dai giudici della Corte d'appello di Washington.