Coronavirus. Strage di disabili negli Stati Uniti
New York Idisabili negli Stati Uniti stanno morendo di Covid-19 a un ritmo cinque volte superiore a quello del resto della popolazione. Ed è salito a 25 il numero degli Stati che permettono agli ospedali di non fornire un respiratore ai malati cronici o a chi presenta minorazioni fisiche o mentali. I primi dati sulla mortalità dei disabili durante la crisi da coronavirus, che provengono dalle aree più colpite dal contagio, mettono in evidenza quanto una categoria già vulnerabile sia esposta al nuovo virus, a causa delle condizioni di vita in strutture dove l’isolamento è difficile o del contatto frequente con personale sanitario o di supporto che introduce il virus nelle case degli assistiti.
E sottolineano anche come condizioni di salute non ottimali rendano ardua la battaglia con la malattia. A Long Island, ad esempio, l’80% dei residenti di una casa per disabili intellettivi è risultato positivo al coronavirus. Una percentuale simile si è registrata in varie strutture in Massachusetts e Michigan. Mentre in Louisiana è morta April Dunn, presidente del Developmental disabilities council, che aveva protestato contro le linee guida del suo Stato sull’accesso ai respiratori per le persone affette da malattie croniche. Infatti, mentre si trovano ad affrontare una probabilità quintuplicata di morire di Covid-19 (5,34 volte più del resto della popolazione per l’esattezza, secondo il gruppo New York Disability Advocates), i disabili americani continuano a lottare contro regole discriminatorie sull’accesso alle cure intensive stilate dai Parlamenti o dalle Amministrazioni locali.
Se le associazioni dei disabili hanno già spinto l’Alabama a eliminare dalle sue linee guida la frase «le persone affette da ritardo mentale sono candidati improbabili per la ventilazione assistita», nei giorni scorsi 15 Stati si sono aggiunti ai 10 che avevano già invitato gli ospedali a razionare i respiratori, facendo passare «in fondo alla fila» chi necessita di «una maggiore quantità di risorse», o ha ricevuto diagnosi specifiche, fra le quali la demenza. La paura delle categorie più deboli è di essere messe da parte mentre gli Usa sono sopraffatti da una vera e propria strage, il cui bilancio ieri ha superato le 16mila vittime, oltre 7mila solo a New York. «Peggio dell’11 settembre», afferma sconsolato il governatore Andrew Cuomo che snocciola le dolorose statistiche.
Che lancia un chiaro monito a chi parla di riaprire il Paese: «Siamo solo alla prima ondata, non bisogna assolutamente abbassare la guardia», anche se i danni economici per le severe misure anti-contagio sono già 'devastanti'. Ieri il numero dei disoccupati negli Usa sono aumentati di 6,6 milioni, sfiorando i 17 milioni e superando i senza lavoro della Grande depressione. Ed è un dato destinato a salire. Ma l’emergenza sanitaria resta ancora prioritaria. Con oltre 430mila pazienti positivi in tutti gli Usa e quasi duemila morti in 24 ore, molte città sono allo stremo. In particolare Detroit, travolta dall’emergenza, con un tasso di mortalità che ha superato quello di New York.
Eppure la Casa Bianca, nonostante il picco dei contagi sembri ancora lontano, pensa già alla fase due, quella dell’allentamento della stretta e della riapertura graduale dell’economia. Donald Trump spinge in questa direzione e pensa a nominare uno “zar” che coordini il ritorno alla produttività di sempre. Ma gli ultimi sondaggi, influenzati in parte va detto dall’“effetto annuncio” mostrano che la gestione della pandemia potrebbe costare cara al presidente. Secondo l’ultima rilevazione della Cnn, nelle rilevazioni commissionate dall’emittente televisiva Joe Biden è avanti di ben 11 punti sul capo della Casa Bianca, con il 53% delle preferenze contro il 42% di Trump. Secondo il sito specializzato RealClear- Politics, Biden è avanti di oltre sei punti.