Le forze governative siriane hanno compiuto un ulteriore passo in avanti verso la
conquista di Palmira, la città in mano al Daesh dal maggio 2015 e nota per
ospitare il sito archeologico d'epoca romana e patrimonio Unesco
dell'umanità.
Secondo fonti concordanti, i lealisti hanno ripreso la cittadella, d'epoca medievale, che sovrasta il centro moderno di Palmira, il sito patrimonio dell'Unesco. E dall'Italia sono pronti a partire i caschi blu della cultura: "una task force di carabinieri e civili, pronta a intervenire non appena ci verrà chiesto dalla comunità internazionale", ha annunciato il ministro dei beni culturali, Dario Franceschini, ricordando che "siamo il primo e unico paese ad avere firmato un protocollo con l'Unesco su questo".
L'Unesco ha accolto con favore le notizie della possibile cacciata dell'Isis da Palmira e il suo direttore, Irina Bokova, ha confermato che l'agenzia Onu è pronta a inviare "una missione, assieme a esperti del dipartimento delle antichità del governo siriano, per valutare i danni compiuti dal Daesh e proteggere l'inestimabile eredità della città".
Ecco cosa resta del
sito archeologico di Palmira: l'emittente Russia24 dopo che le truppe di Damasco, sostenute
dall'aviazione di Mosca e dalle forze speciali, hanno riconquistato
l'antica cittadella, patrimonio Unesco ha diffuso questo filmato. Guarda il
video:
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Nota in arabo con l'epiteto di "sposa del deserto", la città era caduta in mano al Daesh nel maggio 2015, dopo una fulminea ritirata delle truppe governative che avevano lasciato sguarnite le rovine romane. Poco dopo aver preso Palmira, i jihadisti avevano cominciato a
diffondere video delle distruzioni e dei crimini commessi
nell'area: prima era stato diffuso un filmato dell'uccisione di
25 militari governativi, giustiziati sommariamente nello
scenografico anfiteatro romano da membri molto giovani
dell'Isis, alcuni erano adolescenti e ragazzini.
Quindi, le immagini della distruzione con esplosivo del
tempio di Baal Shamin. In seguito era stata diffusa la notizia
dell'uccisione, per decapitazione, dell'anziano direttore del
sito archeologico, Khaled Assaad, ucciso secondo alcune fonti
perché si era rifiutato di rivelare ai jihadisti dove si
nascondessero reperti archeologici non trasportati a Damasco
durante il ritiro dei governativi. A fine agosto era poi
arrivata dall'Unesco la conferma della distruzione di
monumentali torri funebri e del tempio di Bel.