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Giappone. Iwao Hakamada è stato assolto dopo 56 anni nel braccio della morte

Redazione giovedì 26 settembre 2024

In Giappone, il tribunale ha deciso oggi dopo 56 anni l'assoluzione di Iwao Hakamada, l'ex pugile professionista di 88 anni condannato a morte con l'accusa di quadruplice omicidio. Si conclude così uno dei casi giudiziari più controversi, in uno dei grandi Paesi industrializzati che pure applica, come negli Stati Uniti, la pena di morte. Dal 1968, quando a 32 anni venne accusato di avere ucciso un'intera famiglia, Iwao ha vissuto gran parte della condanna nel braccio della morte in attesa dell'impiccagione. O di un esito insperabile come quello di oggi.

Iwao con la sorella, Hideko Hakamada - ANSA

Pochi minuti dopo il verdetto del processo di revisione, Hakamada è stato filmato dai media giapponesi mentre lasciava la sua casa. Fisicamente e mentalmente indebolito da quasi cinquant'anni in attesa dell'esecuzione, il condannato a morte più longevo del mondo non ha partecipato all'udienza nella vicina Shizuoka dove vive. Vestito con un cappello e un gilet senza maniche sopra una camicia leggera, Hakamada ha fatto alcuni passi, sostenuto dai parenti.

L'ex pugile era un dipendente di un'azienda che produceva pasta di miso quando fu arrestato nel 1966 con l'accusa di aver ucciso il datore di lavoro, sua moglie e due dei loro figli. I quattro furono trovati morti per ferite da taglio nella loro casa nella prefettura di Shizuoka, successivamente data alle fiamme. Incriminato per omicidio, rapina e incendio doloso, la sua condanna a morte era stata resa definitiva sulla base di una sentenza secondo cui tracce di sangue su cinque capi di abbigliamento trovati in una vasca di miso 14 mesi dopo l'omicidio corrispondevano ai gruppi sanguigni delle vittime e dello stesso Hakamata.

Le conclusioni del giudice oggi hanno messo seriamente in discussione l'indagine. "Il tribunale ha stabilito che erano state fabbricate tre prove che facevano pensare che l'imputato fosse l'autore del delitto. Escludendo questi elementi, le altre prove a suo carico non sono sufficienti per stabilire che egli sia l'autore" dei delitti, ha chiarito il giudice durante l'udienza mediatica. Ha anche definito il metodo dell'interrogatorio "disumano" perché mirava a infliggere "dolore fisico e mentale" e a "obbligarlo a rilasciare dichiarazioni".

All'epoca dei fatti, Hakamada aveva prima confessato di essere l'autore di questi omicidi prima di ritrattare, citando le modalità dell'interrogatorio. Tuttavia, la sua condanna a morte fu confermata nel 1980 dalla Corte Suprema giapponese. Nel 2014, un tribunale ha ammesso i dubbi sulla sua colpevolezza dopo che i test hanno dimostrato che il Dna trovato sui vestiti insanguinati non corrispondeva al suo. Lo ha confermato oggi il giudice, spiegando che "gli inquirenti hanno alterato gli abiti mettendovi sopra del sangue".

Hakamada venne poi rilasciato, ma il percorso per ottenere questo processo di revisione è stato particolarmente lungo e tortuoso. In appello dell'accusa, nel 2018 l'Alta Corte di Tokyo ha messo in dubbio l'affidabilità dei test del Dna e ha annullato la decisione del 2014, senza rimandare l'accusato in prigione.