Famiglia

Pantaloni rosa/2. Genere, disforia, transizione. Le parole per dirlo

Francesca Mineo lunedì 4 novembre 2024

Definire se stessi è complesso, figuriamoci in adolescenza quando il corpo cambia e diventa adulto, quando si entra in conflitto con i genitori o le figure educative di riferimento, quando si vuole gridare al mondo la propria differenza rischiando di non trovare comprensione.

In questo contesto di continua evoluzione, si inserisce anche il delicato tema dell’identità di genere che spiazza, spaventa, spesso paralizza il mondo adulto. Per genitori e insegnanti ma anche per tutte quelle figure professionali che operano nell’informazione e nella comunicazione è difficile trovare le parole e quando si trovano, magari non sono quelle adeguate o rischiano di essere poco rispettose verso chi sta cercando di capirsi o esprimersi.

In quei momenti di fragilità che riguardano figli e figlie, le parole possono essere la prima forma di violenza. Non mancano purtroppo casi di cronaca: gli episodi di bullismo o cyberbullismo che il recente film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, ispirato a una storia vera, ha riportato alla ribalta, hanno tutti un comune denominatore: la violenza fisica inizia spesso con quella verbale - che arrivi tramite social media, tv, video online o chat - ; così come il silenzio e la chiusura in se stessi, quindi il non comunicare, amplificano le fragilità di adolescenti alla ricerca della loro identità.

Esistono soluzioni e approcci, ma partiamo da alcuni numeri prima di pensare che il tema sia marginale. Le ultime stime a disposizione riguardano i dati raccolti tra il 2018 e il 2021 dal Sifip - Servizio per l’adeguamento dell’identità fisica e psichica dell’ospedale San Camillo di Roma: la ricerca aveva fatto emergere che sono aumentati del 315% i casi della cosiddetta disforia di genere, ovvero quando un individuo non si identifica nel proprio sesso biologico. Numeri che seguono a ruota l’incremento delle richieste di aiuto che a Milano, ad esempio, il servizio specifico della neuropsichiatria infantile dell’ospedale Niguarda ha ricevuto subito dopo gli anni del Covid: triplicate anche in questo caso. Il malessere psico emotivo di ragazze e ragazzi oggi ha origini e cause molto articolate e sfocia spesso in atti di autolesionismo; tra questi, vi è anche il non sentirsi accolti nella ricerca e nella definizione di sé.

A osservare il magma comunicativo dei media e dei social media, ragazzi e ragazze sembrano essere a loro agio nel dialogare di fluidità di genere; tuttavia è altrettanto vero che loro stessi tendono a dare molta rilevanza alla questione e a chiedere di essere compresi. Sono spesso loro a indicarci che per ogni identità esistono precise parole nelle quali riconoscersi. La definizione binaria di genere, quindi non basta più a molti adolescenti; non è sufficiente, così che si scorpora in una miriade di etichette per descrivere il proprio genere quando appunto non corrisponde a quello biologico (agender, bigender, genderfluid etc) o, come precisano gli esperti, “quello assegnato alla nascita in quanto anche il sesso non è sempre definibile in modo univoco”.

Parlarne correttamente è già un primo passo verso la comprensione del fenomeno nella sua evoluzione. Su questo tema l’ente Ciai - Centro Italiano aiuti all’infanzia - che si occupa da oltre 50 anni dei diritti e del benessere psico emotivo di bambine, bambini, adolescenti e delle loro famiglie attraverso il proprio Centro Psicologico ed Educativo (Ciaipe) ha messo in campo una serie di progetti e azioni sostegno dei genitori, un calendario di webinar per docenti, educatori e operatori nonché ha messo a punto un dossier specifico sull’identità di genere in collaborazione con Diego Lasio, professore associato del Dipartimento di Pedagogia, Psicologia, Filosofia dell’Università di Cagliari che fa parte dello staff di Ciaipe.

I temi del genere e dell’identità sono al centro non solo del dibattito attuale ma anche delle attenzioni delle famiglie e di tutte le figure professionali legate all’educazione, all’insegnamento, all’accompagnamento psicosociale - dicono gli esperti del Ciaipe -. Ritieniamo quindi di dover tenere aperto un dialogo e un confronto con tutte le agenzie educative per garantire benessere a ragazze e ragazzi”.

Il documento preparato da Ciai, ideato e a disposizione di tutte le persone che si occupano a vari livelli di informazione e comunicazione, ha l’obiettivo di essere uno strumento utile da consultare per utilizzare parole rispettose delle diversità e quindi inclusive.

Si parte da un vademecum per comprendere termini e significati (identità di genere, sesso e orientamento sessuale), le sigle, l’utilità di segni o asterischi, i consigli per “comunicare con rispetto” vicende che riguardano minori per i quali le parole sono ancora più rilevanti, come già indicato da carte deontologiche quali la Carta di Treviso. Una sezione a parte è dedicata alla comunicazione del cosiddetto “percorso di affermazione di genere”, definizione che “secondo la comunità scientifica è preferibile a percorso di transizione in quanto i percorsi scelti dalle persone trans sono molto differenziati e non tutte scelgono una transizione che implica interventi medici e chirurgici”, precisa Diego Lasio.

Agenzie informative e educative sono di fatto accomunate da obiettivi simili, quando si tratta di comunicare, dialogare, comprendere, spiegare l’identità di genere.

“Secondo quanto indicato dalle Linee guida Unesco e dagli standard dell’Oms, sarebbe necessario introdurre l’educazione all’affettività e alla sessualità nei curricula scolastici fin dalla scuola dell’infanzia - aggiunge Lasio -. Educare il prima possibile i bambini e le bambine all’affettività e alla sessualità significa, infatti, de-costruire pregiudizi, stereotipi e ruoli radicati nella società e nel pensiero comune, che tendono a perpetrare le disuguaglianze e la violenza di genere.

Subito dopo la famiglia è infatti la scuola uno dei luoghi in cui è possibile intervenire precocemente, quando si colgono anche i più piccoli segnali di attenzione.

“Non è infrequente registrare alcune pratiche discriminatorie vissute da ragazze e ragazzi nell’ambiente scolastico sulla base dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere e dell’espressione di genere - aggiunge Lasio - E’ innegabile che il corpo insegnante possa trovarsi in difficoltà su questi temi scegliendo spesso di silenziare una dimensione identitaria che sin dall’infanzia ha una rilevanza indiscutibile nell’esperienza personale; per questo motivo, è indispensabile creare al più presto occasioni di formazione su queste tematiche per docenti e per chiunque abbia un ruolo nell'educazione delle persone più giovani."

Le parole per dirlo, invece, possono essere parte di conoscenza e quindi di accoglienza.