L'analisi. La gaffe del ministro tedesco ci ricorda cosa sono le chiese
L’ha detto male. Ma proprio male, al limite dell’insulto. Però la saggezza e la buona educazione insegnano che si può trovare uno spiraglio di luce persino nel buio più nero. O, se si preferisce citare le parabole, che la zizzania cresce insieme al grano e bisogna fare attenzione a identificarla bene, per evitare di eliminare con la mala pianta anche il pane di domani. Il riferimento biblico ci sta tutto perché nel suo atto d’accusa contro la gestione del turismo in Italia, che a suo dire verrà spazzato via dal cambiamento climatico, Karl Lauterbach ha tirato in ballo le chiese. Prima a Bologna, poi a Siena, a Montepulciano e a Roma il ministro della sanità tedesco ha potuto infatti osservare come parrocchie, basiliche o santuari garantiscano una piacevole frescura. Una vera e propria oasi se rapportata alle temperature bollenti fuori. Ergo la conclusione: «le chiese dovrebbero restare aperte di giorno durante le ondate di caldo e offrire protezione».
Peccato che già accada, e tutto l’anno, non solo d’estate. A luci appena sfumate, magari seduto in un banco non troppo in fondo per evitare code di aria calda o altrimenti gelata, chi cerca ristoro per lo spirito, perché in chiesa si fa principalmente quello, si stringe nel cappotto d’inverno e si rinfresca la pelle sudata nei giorni del solleone. Ma succede pure che si entri soltanto per cercare temperature più basse o rivedere le foto appena scattate con il telefonino: questa la elimino, l’altra la tengo. In Germania, paese del ministro, la possibilità di sosta è stata persino, se così si può dire, “codificata”. La locale Chiesa evangelica (Ekd) e la Diakonie, il suo braccio sociale, hanno infatti invitato le loro comunità a mettere a disposizione della gente accaldata edifici ecclesiastici e stanze collegate. «Grazie al modo in cui sono costruite e senza l’uso della tecnologia di raffreddamento – ha spiegato a “Riforma” la presidente dell’Ekd, Annette Kurschus – le chiese sono spesso i luoghi più freddi in città e in campagna. Vorremmo aprire tanti dei nostri edifici come rifugi».
L’immagine è molto bella. Il rifugio evoca protezione , garantisce conforto, richiama il clima delle famiglie, quelle unite, in cui si possono confidare le proprie paure senza timore di essere giudicati male. E allora, quasi superfluo aggiungerlo, il pensiero va al Vangelo di Matteo, là dove Gesù invita: «Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro». Certo qui l’offerta di aiuto del Signore va molto più in profondità, sollecita uomini e donne di ogni tempo a fidarsi di Lui venuto a portare la pace e la salvezza a tutti e per sempre, mentre i turisti citati da Lauterbach vogliono solo combattere l’afa. Ma tant’è, entrare in chiesa è il primo passo. Poi si posa la zaino, e ci si guarda intorno, magari alzando la testa per vedere meglio un dipinto e capire chi sono quei personaggi in ginocchio ai piedi della croce. E una volta rinfrescati, camminando con calma tra le navate, si può intravedere una piccola luce rossa. Davanti una signora anziana che prega. In silenzio di fronte alla lampada che indica la presenza di Cristo nell’Eucaristia, l’eredità più grande lasciataci da Gesù.
Chi la prende sul serio cresce in umanità, fede e compassione, si completa come persona e vive una vita felice, che non significa assenza di problemi e di sconfitte, ma capacità di affrontarle per quello che sono, trovando la forza, il coraggio e l’umiltà di non farsene travolgere. D’estate le chiese, perché si ha più tempo e, direbbe il ministro, perché regalano freschezza, sono un posto speciale per mettersi in ascolto di Dio e del proprio cuore. Un luogo dove si scopre che anche se tutti ci dimenticano, c’è comunque Qualcuno che sa benissimo chi siamo e si prende cura di noi, senza stancarsi mai. Il vero conforto, quello più completo, si trova lì. E chissà che il ministro Lauterbach pur esprimendola male, ma proprio male, volesse dire una cosa molto semplice: entrare in chiesa fa bene. Al corpo accaldato, ma ancora di più all’anima.