50 anni di sacerdozio. Il Papa ricorda il suo «maestro» Fiorito: «Sapeva ascoltare»
Papa Francesco
Papa Francesco ha deciso di ricordare i suoi cinquant’anni di sacerdozio con un omaggio sentito e commosso al suo padre spirituale, al “maestro” padre Miguel Angel Fiorito (1916-2005). L’evento è ospitato nella Casa generalizia dei gesuiti. L’occasione è la presentazione dell’Opera in cinque volumi degli Scritti di padre Angel, pubblicati dalla Civiltà Cattolica diretta da padre Antonio Spadaro e curati da padre José Luis Narvaja, gesuita, anche lui discepolo del “maestro” e nipote di Jorge Mario Bergoglio.
Il preposito generale della Compagnia, Arturo Sosa Abascal, Spadaro e Narvaja introducono i lavori. L’Aula è gremita di ospiti, alcuni provenienti dall’Argentina. Ci sono numerosi cardinali (Parolin, Sandri, Ladaria, Ayuso, Tolentino) e vescovi (Gallagher, Paglia, Tscherrig, Mennini, Semeraro, Fabene, Tighe), con il prefetto del Dicastero per la comunicazione Ruffini e i vertici della Comunità di Sant’Egidio (Riccardi e Impagliazzo).
Quindi prende la parola il Papa. Il suo intervento è lungo e articolato. È una Lectio. Con cenni autobiografici. Il Pontefice innanzitutto rivendica l’idea della presentazione e poi subito fa propria la definizione che Narvaja fa di padre Fiorito: «maestro del dialogo». «Quel titolo mi è piaciuto – afferma – perché descrive bene il Maestro mettendo in rilievo un paradosso: Fiorito infatti parlava poco, ma aveva grande capacità di ascolto, un ascolto capace di discernimento, che è una delle colonne del dialogo». Papa Francesco poi mette in luce un’altra caratteristica di padre Fiorito: «Non ha fatto molto per farsi conoscere, ma da buon maestro ha fatto conoscere molti buoni autori ai suoi discepoli». E ricorda in particolare padre Hugo Rahner con la sua «metastoria di una spiritualità». Il Pontefice coglie l’occasione per «esprimere» la «gratitudine per tutto ciò che la Compagnia mi ha dato e ha fatto per me». Con i maestri formatori, ma anche con i fratelli coadiutori, anche loro maestri «con l’esempio gioioso di restare semplici servitori per tutta la vita». E poi ricorda alcuni suoi incontri particolari con Fiorito. Con una serietà che aveva «il dono delle lacrime», «espressione di consolazione spirituale». Con un sorriso che aveva anche il «dono dello sbadiglio» di fronte ad alcuni esami di coscienza, giustificandosi dicendo che a volte serviva a «tirarti fuori il cattivo spirito».
Il Pontefice elenca alcune caratteristiche particolare di padre Fiorito e in particolare si sofferma su questa: «Nell’accompagnamento spirituale, quando gli raccontavi le tue cose, lui si teneva fuori». Nel senso che «ti rispettava», perché «credeva nella libertà». E così, sottolinea papa Francesco, padre Fiorito «è stato il grande “disideologizzatore” della Provincia » argentina dei gesuiti «in un’epoca molto ideologizzata». E lo ha fatto «risvegliando la passione a dialogare bene, con se stessi, con gli altri con il Signore». E a «non dialogare con la tentazione», a «non dialogare con lo spirito cattivo, con il Maligno». Infatti «l’ideologia è sempre un monologo con una sola idea e Fiorito aiutava il suo interlocutore a distinguere dentro di sé le voci del bene e del male dalla sua propria voce, e ciò apriva la mente perché apriva il cuore a Dio e agli altri». Il discorso è lungo e papa Francesco non lo legge tutto, ma accenna ad alcune altre caratteristiche di padre Fiorito: non esortava, non era geloso, non dava giudizi, con i «testa dura» aveva tanta pazienza. Ma prima di finire estrae dalla memoria un aneddoto. Rivela che da provinciale doveva ricevere il racconto di coscienza annuale del maestro. E, con la voce rotta dalla commozione, ricorda: «Era un novizio maturo» che rivelava nelle sue narrazioni di essere proprio un «discepolo del Padre».