4 ottobre. Tutte le frasi che san Francesco non ha mai detto (ma che tutti citano)
Raffigurazione di san Francesco d'Assisi nell'affresco di Cimabue ad Assisi
“Tu comincia a fare quello che è necessario, poi quello che è possibile. Alla fine, ti scoprirai a fare l’impossibile”. La frase di Francesco d’Assisi citata da Giorgia Meloni nella notte del trionfo, come è ormai noto, Francesco d’Assisi non l’ha mai detta (vedi la risposta del direttore Marco Tarquinio a un lettore su Avvenire del 28 settembre). Va detto, però, che circola impunemente su Facebook da più di dieci anni, ripetuta fino allo sfinimento ogni 4 ottobre. Ed è solo una delle tante citazioni fasulle attribuite al patrono d’Italia.
Su internet di falsi di questo genere se ne trovano a bizzeffe: dal tormentone “Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le sue mani e la sua testa e il suo cuore è un artista” a “Fai attenzione a come pensi e a come parli, perché può trasformarsi nella profezia della tua vita”.
Lo stesso papa Francesco ripete da sempre una frase che il santo da cui ha preso il nome non ha mai detto: “Predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole!”.
Vale la pena di ricordare che persino la preghiera più citata del Poverello di Assisi in realtà non è sua, ma è stata scritta addirittura nel Novecento e in francese e poi tradotta in italiano antico per spacciarla come scritto medievale: “O Signore, fa di me uno strumento della tua pace: dove è odio, ch’io porti amore, dove è offesa ch’io porti il perdono, dov’è discordia ch’io porti l’Unione…”.
In questi casi, però, più che di bufale dovremmo parlare di apocrifi, perché se è vero che il segreto del successo delle fake news è quello di non essere mai vere ma sempre verosimili, questi aforismi, pur non essendo stati detti o scritti da Francesco d’Assisi, sicuramente ne riflettono il pensiero. E possono riservare più di una sorpresa ai politici che se ne appropriano.
Il caso della Preghiera semplice è particolarmente significativo e anche attuale, perché si tratta di una preghiera pacifista divulgata durante la Prima guerra mondiale, quando – proprio come in questi mesi – solo la Chiesa Cattolica si opponeva apertamente al conflitto.
Anche essa ha avuto divulgatori illustri: basti pensare che è stata cantata al funerale di Lady Diana, incisa da Claudio Baglioni e citata – tra gli altri – da Madre Teresa di Calcutta, Bill Clinton, Giovanni Paolo II e persino durante la conferenza di San Francisco con cui venne costituito l’Onu.
Tutto inizia nel 1912, quando il testo viene pubblicato per la prima volta in Francia, nella rivista ecclesiastica La Clochette, con il titolo Bella preghiera da fare durante la messa. Il 20 gennaio 1916 è pubblicata in italiano su L’Osservatore Romano insieme ad altre preghiere per la pace. Ed è proprio sul fronte della Grande Guerra che cominciano a circolare dei volantini con il testo affiancato all’immagine del santo di Assisi. Nelle prime immaginette viene scritto che questa preghiera “riassume meravigliosamente la fisionomia esteriore del vero seguace di san Francesco” mentre dopo il 1920 si diffonde anche in ambito protestante, dove viene attribuita allo stesso santo.
Se Francesco non c’entra nulla, va detto però che le parole sembrano riecheggiare una fonte francescana come i Detti del beato Egidio: “Beato colui che ama e non desidera essere amato, beato colui che teme e non vuole essere temuto, beato chi si cura degli altri e non vuole cure per sé”.
La stessa dinamica vale anche per gli altri apocrifi. E il discorso si fa interessante perché il pensiero autenticamente francescano che ne emerge è fortemente “politico” ma decisamente lontano da posizioni di destra: la falsa citazione del Papa si richiama infatti a un passo della Regola non bollata in cui Francesco spiega ai discepoli che atteggiamento devono avere con i musulmani: “I frati che vanno fra gli infedeli possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio”.
La fonte originale, quindi, è ben più dirompente della citazione che ne è stata ricavata: in un’epoca in cui la Chiesa predicava l’odio contro gli infedeli (con san Bernardo che sosteneva che uccidere un musulmano non fosse omicidio ma “malicidio”) Francesco non solo dialoga pacificamente con il Sultano d’Egitto, ma raccomanda ai suoi frati di predicare il Vangelo solo quando questo non li mette in conflitto con i musulmani. Una posizione che sicuramente mal si concilia con chi ancora oggi vede nell’islam un nemico o un pericolo.
Se gli intenti originari del santo erano ben più “politici” di quelli che emergono dalla citazione di papa Bergoglio, è però vero che predicare più con le azioni che con le parole è una caratteristica peculiare del santo di Assisi. Tommaso da Celano – suo primo biografo – scrive che “di tutto il corpo faceva lingua” confermando che il “Giullare di Dio” era davvero un giullare, mentre Tommaso da Spalato - che aveva assistito a una sua predica a Bologna - testimonia che il frate non seguiva lo stile dell’Ars predicandi ma quello dell’l’ars concionandi. In altre parole, non parlava come un prete ma come un politico, e le sue prediche erano dei veri e propri “comizi d’amore” – per citare Pier Paolo Pasolini.
Ancora più significativa è la sorgente della frase citata da Giorgia Meloni: Francesco d’Assisi non ha mai invitato a fare il necessario per scoprirsi poi a fare l’impossibile, ma lo ha fatto concretamente. E la citazione apocrifa trova un suo corrispettivo in un episodio raccontato dai compagni più intimi di Francesco: “In un eremitaggio situato sopra Borgo San Sepolcro, venivano di tanto in tanto certi ladroni a domandare del pane” si legge nella Compilazione di Assisi. “Costoro stavano appiattati nelle folte selve di quella contrada e talora ne uscivano, e si appostavano lungo le strade per derubare i passanti. Per questo motivo, alcuni frati dell’eremo dicevano: ‘Non è bene dare l’elemosina a costoro, che sono dei ladroni e fanno tanto male alla gente’”. Francesco, a sorpresa, invita non solo ad aiutare i briganti, ma a raggiungerli nella selva dove sono nascosti ad apparecchiare per loro un ricco pranzo. Perché i criminali, dice il santo, prima vanno sfamati e poi convertiti.
Così, a forza di pane, vino e formaggio, i frati prima riescono a convincere i ladri a non rapinare la gente, poi a cambiare vita e a diventare cittadini onesti e infine a convertirsi al cristianesimo. Commossi dall’umanità di quei fraticelli, i ladroni iniziano ad aiutarli nei loro lavori e alcuni di loro entrano addirittura nell’Ordine.
Quello che Giorgia Meloni ha detto, dunque, Francesco d’Assisi non lo ha mai detto ma lo ha fatto, e lo ha fatto con un gruppo di balordi e criminali.
Che il futuro capo del governo lo abbia ricordato nella notte più importante della sua vita, quindi, è assolutamente opportuno, così come sarà opportuno che il suo futuro governo lo ripeta.