L'analisi. Tra la Cina e la Chiesa un cammino costante
Fedeli cattolici in preghiera in una chiesa di Pechino
Il confronto tra Occidente e Cina resterà a lungo all’ordine del giorno: investe il futuro di tutti. È perciò importante che, nella loro prima telefonata, Joe Biden e Xi Jinping si siano confrontati duramente dichiarando, però, di non volere che i contrasti tra Usa e Cina degenerino in guerra. E papa Francesco? Resta un 'sorvegliato speciale', visto che non segue le regole della politica di potenza. C’è perciò diffusa ipersensibilità verso tutto ciò che riguarda i rapporti tra Cina e Santa Sede. Lo si è visto anche l’8 febbraio, quando, parlando al corpo diplomatico, Francesco ha semplicemente ricordato che nell’ottobre scorso Santa Sede e Cina hanno prolungato la validità per altri due anni dell’Accordo stipulato il 22 settembre 2018. Il suo valore è anzitutto di «carattere pastorale », ha sottolineato il Papa aggiungendo l’auspicio «che il cammino intrapreso prosegua […] contribuendo ulteriormente alla soluzione delle questioni di comune interesse». Niente di nuovo dunque, ma è bastato che il giorno dopo fosse reso pubblico in Cina un nuovo regolamento riguardante il clero di tutte le religioni, che entrerà in vigore il 1 maggio 2021, per accendere le polemiche. Per qualcuno si tratterebbe addirittura di uno “schiaffo” da parte del governo cinese a papa Francesco, per altri invece, lo schiaffo a papa Francesco verrebbe da chi fa disinformazione sui rapporti tra Santa Sede e Cina.
In realtà, anche qui, c’è poco di nuovo. Le “Misure amministrative riguardanti il personale religioso” (Zongjiao jiao zhi renyuan guanli banfa), un testo articolato in 7 capitoli e 52 articoli, sono in linea con la politica di “sinizzazione” delle religioni promossa dal presidente Xi Jinping nel 2016 durante la “Conferenza nazionale sul lavoro religioso” e con l’attuale sforzo del governo di Pechino di normare minuziosamente ogni ambito della vita sociale. Già le “Norme relative agli affari religiosi”, emanate dal Consiglio per gli Affari di Stato, entrate in vigore nel 2018, sono andate in questa direzione. Nella Cina delle più avanzate tecnologie al servizio del Sistema dei crediti sociali, non sorprende la decisione di creare un database del personale religioso. L’obbligo per monaci, sacerdoti, leader religiosi delle diverse fedi di registrarsi presso l’Amministrazione statale per gli affari religiosi c’è da decenni né può meravigliare che nell’art. 3 del nuovo regolamento – usando il consueto linguaggio di documenti simili – si affermi che tutti i religiosi cinesi devono «amare la patria, sostenere la leadership del Partito comunista cinese, sostenere il sistema socialista, rispettare la Costituzione, le leggi, i regolamenti e le re- gole, praticare i valori socialisti fondamentali, aderire al principio di indipendenza e autogestione delle religioni in Cina». Tutto questo, si afferma a Pechino, serve a mantenere l’unità nazionale e la stabilità sociale, evitando conflitti etnici e religiosi.
Ci sono novità che riguardano specificamente la Chiesa cattolica? Come è noto, l’Accordo provvisorio del 2018 riguarda la nomina e la consacrazione dei vescovi. Nel testo delle “Misure amministrative riguardanti il personale religioso” non si parla né dell’Accordo né del coinvolgimento del Papa nelle nomine episcopali in Cina. Per qualcuno quest’assenza costituirebbe una chiara smentita dell’Accordo: di qui lo “schiaffo” al Papa. Ma non è consono ad un regolamento di questo tipo citare un’intesa internazionale e, oltretutto, l’Accordo non è stato ancora ratificato definitivamente, ma prolungato ad experimentum. E c’è di più: l’art. 16 afferma che i «vescovi cattolici saranno approvati e ordinati dalla Conferenza episcopale cattolica cinese» ed è qui che si inserisce il coinvolgimento del Papa nelle nuove nomine episcopali. Anzitutto, l’affermazione che le nuove ordinazioni spettino ai vescovi cattolici è degna di nota. Dopo un meccanismo di elezione attraverso le locali Associazioni patriottiche dei cattolici cinesi, la loro approvazione e la loro ordinazione spettano alla Conferenza episcopale cattolica cinese, riconoscendo il principio che tali nomine non competono alle autorità politiche, ma alla Chiesa cattolica. Non è poco, in un Paese che da sempre ha difficoltà ad accettare una separazione tra religione e politica.
Dal 2018, inoltre, tutti i vescovi cattolici cinesi sono in piena comunione con il Papa (e se, attualmente, la Conferenza episcopale cinese non è ancora riconosciuta dalla Santa Sede, non è per chi ne fa parte, ma per chi ancora manca: i vescovi clandestini, per il cui riconoscimento è in corso una trattativa complessa, che ha dato alcuni importanti risultati). Spetta alla Conferenza episcopale assicurarsi che i nuovi vescovi siano nominati dal Papa, il che è avvenuto per le due nomine episcopali dopo il 2018 e per altre due dopo il rinnovo dell’Accordo. Alcuni fedeli e sacerdoti cinesi hanno smentito che i nuovi regolamenti contraddicano l’Accordo, affermando che non si aspettano cambiamenti e che il percorso cominciato nel 2018 andrà avanti.
L’intesa fra Santa Sede e Cina, in altri termini, ha il suo vero banco di prova non in questi testi amministrativi, ma nell’attuazione concreta dell’Accordo nei prossimi due anni (Covid permettendo), con ulteriori ordinazioni episcopali attuate secondo la nuova procedura. Del tutto stravagante appare inoltre l’affer-mazione che il nuovo regolamento contraddica la natura pastorale dell’Accordo. È stata anche smentita la tesi che i nuovi regolamenti introducano divisioni o ostacoli nei rapporti tra «patriottici» e «clandestini»: le 'Misure' ribadiscono che i «clandestini » devono essere riconosciuti, il che del resto è in linea con l’obiettivo indicato da Benedetto XVI nel 2007 di una Chiesa cattolica in Cina finalmente liberata da una innaturale condizione di clandestinità. Purtroppo oggi alcune difficoltà in questo cammino vengono anche da quei «clandestini» che non vogliono chiedere il riconoscimento persino quando non vengono imposte loro condizioni inaccettabili. Il peso delle vicende passate minaccia così di frenare una Chiesa che dovrebbe invece proiettarsi verso una grande opera di evangelizzazione.