Educazione. Scout gay, un caso da affrontare
Un campo scout
IL CASO
Il caso Staranzano (Gorizia) esplode all’inizio di giugno quando Marco Di Just, uno dei capi scout del locale gruppo Agesci, “celebra” un’unione civile in municipio con il compagno Luca Bortolotto, consigliere comunale. Il parroco, don Francesco Maria Fragiacomo, scrive sul bollettino parrocchiale: «Come cittadino ognuno può fare quello che gli consente la legge dello Stato. Come cristiano, però, devo tener conto di quale sia la volontà di Dio sulle scelte della mia vita. Come educatore cristiano, in più, devo tener conto della missione e delle linee educative della Chiesa e della mia associazione cattolica». Da qui la richiesta a Di Just di fare «per coerenza» un passo indietro. Richiesta che non è stata condivisa né dal viceparroco don Eugenio Biasol, guida spirituale degli scout, presente alla cerimonia come amico dei due giovani, né dall’Agesci Friuli Venezia Giulia che un post su Facebook ha ribadito la propria fiducia nei capi scout del Gruppo di Staranzano. Una ventina di giorni dopo l’intervento del vescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, che in una lunga lettera al Consiglio pastorale e al Consiglio presbiterale scrive: «Di fronte a ciò che ha creato contrasti e scalpore" si può osare chiedersi quali siano gli aspetti di grazia presenti?». Prendendo spunto dagli Atti degli Apostoli, elenca una serie di criteri per il discernimento, osservando tra l’altro come vada inteso come evento di grazia anche «la progressiva maturazione della convinzione che il discernimento stia diventando sempre più la cifra fondamentale dell’agire pastorale». Ma anche «l’attenzione rispettosa, partecipe e talvolta sofferta ai cammini personali di ciascuno». E conclude osservando che la decisione non tocca a lui, «con un intervento autoritario dall’alto» , ma alle stesse realtà ecclesiali operanti in ambito educativo che, lungo questo percorso di discernimento sicuramente non facile, devono «giungere ad alcune indicazioni condivise e sagge». Sollecitazione efficace, visto che ha ora messo in moto un cammino di verifica, di analisi e di confronto tra associazioni e realtà impegnate nel mondo educativo a livello nazionale.
Chi si attende dall’Agesci un provvedimento “esemplare e rapido” per risolvere la questione del capo scout di Staranzano (Gorizia) che si è unito civilmente con il suo compagno suscitando dibattiti e polemiche ben oltre i confini della comunità friulana, è destinato a rimanere deluso. E non perché i vertici degli scout abbiamo deciso di rimuovere il problema e non intendano affrontare il caso. La questione è tanto delicata e complessa che sarebbe impensabile – e forse anche ingiusto e riduttivo – che un’associazione da sola possa caricarsi sulle spalle una responsabilità che coinvolge tutta la comunità cristiana in senso più ampio.
Non si tratta solo di stabilire se il capo scout in questione abbia offerto una testimonianza di vita coerente con i valori dell’associazione e quindi con la proposta cristiana sul matrimonio e sulla famiglia, ma anche di riflettere in modo responsabile sull’efficacia di una proposta educativa a proposito di affettività e sessualità che dev’essere probabilmente riformulata e riattualizzata, a partire dalla riflessione più ampia che tutta la comunità cristiana vuole e deve fare. Lo accennava già l’arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, nella lunga lettera indirizzata sul caso del capo scout al Consiglio presbiterale e a quello pastorale: «Si è di fronte a questioni nuove e complesse circa le quali la riflessione ecclesiale è ancora iniziale o comunque non del tutto matura, i pareri non sono concordi, le prassi pastorali non ancora ben definite».
Sullo sfondo si allarga poi la grande questione dell’accompagnamento pastorale delle persone omosessuali. Le poche iniziative avviate in questi ultimi anni – solo 3 diocesi su 226 hanno deciso di dedicare a questo aspetto un Ufficio specifico – appaiono ancora largamente insufficienti non solo per rispondere in modo adeguato agli appelli del magistero (vedi l’articolo in basso), ma anche alle richieste di una sensibilità sempre più diffusa, consapevole ma variegata, che chiede alla Chiesa occasioni di dialogo e nuove proposte di accompagnamento.
Ecco perché la riflessione non può e non deve coinvolgere soltanto l’Agesci ma tutte le realtà ecclesiali e associative impegnate sul delicatissimo crinale dell’emergenza educativa. Del resto, anche l’arcivescovo di Gorizia (lo ricordiamo nell’articolo qui a fianco) si era chiesto se nell’episodio erano ravvisabili aspetti di grazia. Non certo per giustificare in modo semplicistico i comportamenti delle persone coinvolte nel caso di Staranzano – come qualche censore de noantri ha banalmente osservato – ma per trasformare un episodio comunque difficile e imbarazzante in uno spunto per riflettere, per ripensare alla coerenza della strada fatta, per chiedersi come colmare un ritardo educativo che appare finalmente nelle sue autentiche e drammatiche dimensioni. Un’occasione preziosa offerta evidentemente non solo all’Agesci, ma anche a tutte le realtà ecclesiali di carattere educativo, per avviare nuovi percorsi e nuove iniziative che non siano né casuali né episodiche.
Da qui la proposta di un tavolo di confronto sul tema dell’educazione alla sessualità e all’affettività invitando a un’ampia riflessione – con modalità e tempi tutti da definire – realtà come l’Azione cattolica, le Federazioni degli oratori, gli istituti e le congregazioni impegnate nella pastorale giovanile e familiare, le associazioni dei genitori, le aggregazioni, i movimenti familiari, gli esperti che si sono già occupati del tema. Anche in vista del cammino di preparazione al Sinodo dei vescovi sui giovani dove difficilmente questo tema potrà essere eluso.
Non si tratta di rivoluzionare la teologia morale a proposito degli atti omosessuali – compito che in ogni caso non tocca alle associazioni – né di stabilire un nuovo elenco dei permessi e dei divieti. Bensì di affrontare in modo originale e inclusivo, adeguato alle richieste dei tempi, il problema dei percorsi educativi. E allo stesso tempo verificare la possibilità di un approccio che non si riduca più alla normatività sterile del “si può”, “non si può”. Senza per questo confondere le esigenze del discernimento con formule eticamente assolutorie. Riflessione comunque difficile, tutta da condurre sul crinale di una gradualità rispettosa delle condizioni di vita di ciascuno. Per questo occorre un approccio culturale innovativo che, soprattutto sul fronte della pastorale per le persone omosessuali, sappia uscire dalla sudditanza nei confronti del pensiero laico troppo spesso segnato dalla contrapposizione.
Da una parte i cosiddetti “omosessualisti”, dall’altra i fautori dell’omosessualità come patologia. Esiste una via mediana capace di valorizzare per esempio la categorie dell’“amicizia disinteressata” – di cui parla anche il Catechismo (n.2359) – nella consapevolezza che la sessualità può essere vissuta in modi differenti pur rimanendo espressione d’amore? Esiste la possibilità di mettere a punto modelli capaci di valorizzare il bene che, al di là dell’orientamento sessuale, esiste in ogni persona che percorre sinceramente il suo cammino di fede? Se l’obiettivo è offrire a tutti, «indipendentemente dall’orientamento sessuale» ( Amoris laetitia, n.250), ipotesi di vita buona, queste domande non potranno essere dimenticare dall’Agesci, dalle associazioni e dalle altre realtà ecclesiali che si preparano a riflettere insieme, con uno sguardo che vada ben oltre i confini dei gruppi scout di Gorizia.