Roma. Il gesuita Narvaja: «Vi racconto mio zio, papa Francesco»
Da sinistra il gesuita José Luis Narvaja accanto allo zio papa Francesco a Roma, il 13 dicembre 2019, nella sede della Curia generale della Compagnia di Gesù a Roma
Lo ricorda come un buon superiore – «lo fu solo per tre mesi, dopo il mio noviziato, quando fu mio rettore del Collegio San Miguel in Argentina» – e lo avverte ancora oggi come un parente autorevole capace sempre di infondere buoni e «bellissimi» consigli «che mi sono rimasti utili per tutta la vita». Descrive così il gesuita e patrologo José Luis Narvaja lo zio papa Francesco come un «uomo di Dio che vive soprattutto di preghiera e che ha sempre puntato più sulla forza dei gesti rispetto alle parole per andare al cuore del messaggio del Vangelo».
Sono queste le prime istantanee che affiorano dalla mente di questo religioso argentino – nato a Buenos Aires come Jorge Mario Bergoglio – nel rievocare l’illustre parente che proprio il 13 marzo di dieci anni fa veniva eletto Vescovo di Roma. Padre Narvaja è figlio una delle sorelle del Pontefice, Marta, e compirà 58 anni il prossimo 29 agosto. È un rinomato patrologo, esperto del pensiero di sant’Agostino e del teologo di origini tedesco-polacche Erich Przywara (1889-1972). Divide la sua vita accademica tra il Pontificio Istituto Biblico di Roma e l’università cattolica di Cordoba in Argentina. Il 19 marzo di dieci anni fa padre José si trovò accanto allo zio «papa Francesco» nel giorno della Messa di inizio del ministero petrino in piazza San Pietro. «Ho scoperto dalla Tv come tutti i telespettatori di questo pianeta che mio zio, allora cardinale e arcivescovo di Buenos Aires, il 13 marzo di dieci anni fa, era stato eletto Pontefice. Non ho avuto nessun preavviso telefonico – dice scherzando –. Pochi giorni dopo ho preso l’aereo da Francoforte dove allora insegnavo per partecipare anch’io alla Messa di inizio pontificato. E lì ci siamo salutati dopo tanto tempo».
Del famoso parente, con cui condivide il Dna comune della pratica degli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, sottolinea l’amore per la vita semplice di Bergoglio e di «uomo normale e appassionato di cinema, teatro e sport». Come tante persone. Padre Narvaja non è il primo caso dentro la Compagnia di Gesù in cui uno zio o un parente famoso si trovi quasi a precedere e ad “anticipare” l’ingresso di un nipote all’interno della stessa Famiglia religiosa: basti pensare a Riccardo il «microfono di Dio» e Federico Lombardi o al caso dei cugini svizzeri Hans Urs von Balthasar e Peter Henrici. «Lo zio, pur essendo già una figura autorevole nell’Ordine, non ha influito in alcun modo sulle mie scelte e mi ha sempre lasciato molta libertà. La mia vocazione nella Compagnia di Gesù è stata la risposta a una chiamata del Signore. Come è capitato a tanti miei confratelli. Nulla di più».
«Negli scritti di Fiorito si trova molto del magistero di Bergoglio»
In questi anni padre José Luis si è cimentato in un lavoro monumentale: pubblicare (la cui compilazione è durata più di un anno e mezzo) in cinque volumi nel 2019 per la Civiltà Cattolica gli Escritos, gli Scritti di padre Miguel Ángel Fiorito (1916-2005) che fu il principale maestro di spiritualità ignaziana del futuro Pontefice argentino. E fu proprio il nipote il 13 dicembre del 2019, a presentare a Roma allo zio «Jorge Mario» quest’opera imponente. «Bergoglio non è mai stato un ripetitore pedissequo degli insegnamenti di Fiorito ma ha sempre introdotto anche in questo campo degli elementi di novità. Questo omaggio pubblico al suo “maestro di discernimento” è stato vissuto da papa Bergoglio come il giusto tributo a quanto padre Miguel Ángel ha fatto anche per la forza di argomentazione delle sue tesi sempre molto equilibrate sui vari aspetti del cattolicesimo post-conciliare in Argentina e di riflesso per tutta l’America Latina e per noi gesuiti».
Padre Narvaja si sofferma nel suo ragionamento sull’importanza anche di un altro autore Erich Przywara e di un saggio da lui stesso curato e pubblicato in Italia dal Pozzo di Giacobbe nel 2013 L’idea d’Europa. La “crisi” di ogni politica cristiana in cui, a suo giudizio, si intravede molto del pensiero di Francesco sul futuro del Vecchio Continente. «Sono stato io stesso a regalarne una copia a mio zio – è l’ammissione – di questa mia ricerca. Lui ha sempre apprezzato il suo pensiero e si è nutrito da giovane gesuita di queste letture del grande teologo. Certamente è stato un suo punto di riferimento ma non l’unico. Basta rileggersi i suoi discorsi sull’Europa compreso quello per il conferimento del Premio Carlo Magno nel maggio 2016 e si comprende la grande visione di come il Papa guardi con speranza all’Europa senza ripiegamenti sul suo glorioso passato». Ma dei grandi lasciti intellettuali e pastorali dell’attuale Vescovo di Roma, secondo Narvaja, bisogna ricercarlo nel concetto a lui molto caro di «teologia del popolo». «La sua è stata una risposta e una via diversa rispetto alla strada imboccata dalla cosiddetta “teologia della liberazione” – annota –. Per lui la teologia deve essere in dialogo con la cultura e il popolo».
Un’intuizione quella di Bergoglio per una teologia sempre in ascolto delle attese del popolo di Dio che ha radici antiche. E che precedono di molti anni la sua salita al soglio di Pietro. «Se si rilegge oggi l’intervento pronunciato dall’allora padre Bergoglio nella sua veste di rettore del collegio di San Miguel nel 1985 in cui si commemorava i 400 anni dall’arrivo dei gesuiti in Argentina si scoprono molte delle intuizioni profetiche e oserei dire “creative” che Francesco avrebbe poi messo in pratica nel suo ministero petrino. In quel discorso egli infatti pose un particolare accento sulla teologia della cultura e del popolo». E osserva ancora: «Ribadì, in quel frangente, una cosa molto chiara che “il popolo per lui non è mai oggetto ma soggetto”». Di questi 10 anni di papa Bergoglio come Vescovo di Roma padre Narvaja ferma il suo sguardo su alcune istantanee. «Certamente la scelta di andare a Lampedusa a inizio del suo pontificato nel luglio del 2013. Si è trattato non di un gesto istantaneo ma elaborato a lungo e frutto di una grande preghiera. Come sicuramente il viaggio apostolico ad Abu Dhabi e la dichiarazione sulla Fratellanza umana del 2019 dove si scopre soprattutto di papa Francesco un tratto: l’importanza del dialogo e dell’ascolto dell’altro». Quale è uno dei suoi segreti? «Credo quello di pregare, essendo sempre inserito nella vita di questo mondo e stando sempre in ascolto delle attese del popolo di Dio. Un tratto da autentico contemplativus in actione». Come è giusto, a suo giudizio, celebrare questi dieci anni di Bergoglio sulla Cattedra di Pietro? «Forse nello stesso modo come lui festeggia, di solito, i suoi compleanni accanto ai bisognosi e agli ultimi». Di qui la riflessione finale: «Vorrei però sottolineare come ha detto recentemente papa Francesco che la Chiesa è nata per accogliere tutti dal povero al giovane ricco. L’annuncio della Buona Novella è rivolta a tutti gli uomini di buona volontà. Mi viene, a questo proposito, in mente quanto scriveva proprio padre Fiorito in un articolo di parecchi anni fa, pubblicato sul Boletin de Espiritualidad (quaderno numero 35) quando ricordava che all’interno della comunità ecclesiale non ci sono solo i poveri ma uno degli impegni primari è quello di stare accanto a chi soffre ed è più in difficoltà. E Fiorito aggiungeva questa annotazione: “Vogliamo una Chiesa dove non ci siano i poveri e che tutti possano godere degli stessi diritti e possibilità”. Credo che questo sia uno degli insegnamenti di Fiorito più in sintonia proprio con il magistero ordinario del suo discepolo papa Francesco».
Un particolare di un periodo di formazione spirituale dei gesuiti argentini. Al centro un giovane Jorge Mario Bergoglio vicino al suo maestro spirituale Miguel Ángel Fiorito - La Civiltà Cattolica