Il rito. Beati i martiri del Guatemala. La fede risposta all'ingiustizia
Era un giorno d’agosto del 1995. Il contadino lavorava nel suo campo, come al solito. La zappa mosse inavvertitamente una pietra, conficcata sulla terra scura. Fu allora che notò lo strano oggetto: un libro chiuso in un sacchetto di plastica. A fatica, sulla copertina nera e spessa, si leggeva ancora la scritta dorata: “Sacra Bibbia”. La foto delle sue pagine rovinate, esposta nell’Ufficio per i diritti umani dell’arcivescovado di Città del Guatemala (Odha), è la memoria più autentica della guerra civile che ha insanguinato la nazione tra il 1960 e il 1996. Negli altopiani del Quiché si consumò un genocidio: decine di migliaia di civili furono massacrati. Donne, uomini, bambini e anziani in stragrande maggioranza poveri e indigeni: binomio tragicamente “normale” in un Paese dove la miseria ha il colore e le fattezze maya. Un popolo, però, profondamente credente, capace – sull’onda degli insegnamenti del Concilio, delle Conferenze dell’episcopato latinoamericano e dell’opera di evangelizzazione realizzata dall’Azione Cattolica – di conciliare Vangelo e impegno quotidiano per la costruzione del Regno. Da ciò nacque la profezia che spinse sacerdoti, vescovi, laici, catechisti, operatori pastorali a denunciare il sistema di esclusione feroce mantenuto con il sangue dall’esigua élite latifondista e dai loro rappresentanti nei governi militari. Era sufficiente avere una Bibbia in casa per essere torturati e uccisi. La violenza non spense la fede. Libri e simboli sacri venivano sotterrati ma si continuava a leggerli e pregarli, di nascosto.
«Seppellivano la Bibbia, vi mettevano sopra fiori e candele – racconta Fernando Bermúdez, missionario per trent’anni in Guatemala insieme alla moglie, teologo e autore di Religión digital –. La notte, la comunità si riuniva in quel punto per ricordare alcuni brani, resuscitando la Parola». Testimoni fino alla fine. Come i sacerdoti spagnoli e missionari del Sacro Cuore José María Gran Cirera e Juan Alonso Fernández e Faustino Villanueva, il sacrestano Tomás Ramírez Caba, i catechisti Rosalío Benito Ixchop, Reyes Us Hernández, Domingo Del Barrio Batz, Nicolás Castro, Miguel Tiu Imul e Juan Barrera Méndez, appena 12enne. Tutti assassinati in odio alla fede tra il 1980 e il 1991, come ha riconosciuto il decreto di cui papa Francesco ha autorizzato la promulgazione il 24 gennaio scorso. E come tali oggi saranno beatificati all’Istituto del Rosario di Santa Cruz de El Quiché. La Messa sarà presieduta dal cardinale Álvaro Leonel Ramazzini Imeri, vescovo di Huehuetenango.
La cittadina è stata addobbata con fiori e murales per questa grande festa che nemmeno la pandemia riesce a cancellare. «È un riconoscimento alla fede del popolo di Dio che pellegrina in Quiché. Là la Chiesa è stata perseguitata, per paradosso, da “corregionali”. I militari e paramilitari che massacravano i civili e seviziavano preti e catechisti si professavano cattolici. Per giustificarsi, accusavano le vittime di essere sovversivi e comunisti. Niente di più falso. La loro difesa nonviolenta per la dignità degli oppressi si radicava proprio nel Vangelo », afferma Nery Rodenas, direttore dell’Odha. È stato proprio quest’ultimo ufficio – creato da Juan Gerardi, a lungo vescovo del Quiché e anche lui vittima degli squadroni della morte – a svelare la “menzogna ufficiale” nel rapporto Nunca Más. Un lavoro attento di ricostruzione della memoria storica attraverso la raccolta sul campo di testimonianze: solo dal Quiché ne arrivarono 6mila. «Ho accompagnato i futuri beati Nicolás Castro e Reyes Us. Un giorno mi chiesero di aiutarli a nascondere delle ostie consacrate in un recipiente dove c’erano delle spianate di mais. Era l’unico modo sicuro per portarle fino ai loro villaggi, a un giorno di cammino. Sapevano di rischiare una morte orribile se li avessero scoperti. Ma mi dissero che né loro né le loro comunità potevano rinunciare al Corpo di Cristo – ricorda Bermúdez –. Hanno ucciso Nicolás la notte del 29 settembre 1980: un commando ha fatto irruzione in casa sua e ha cercato di rapirlo. Si è opposto e l’hanno colpito con tre proiettili di fronte alla moglie, alla madre e ai figli. Aveva 35 anni. Meno di due mesi dopo è toccato a Reyes». «L’esempio di questi martiri – conclude Rodenas – ci ispira a lavorare con ancora più slancio per la verità e la giustizia del Regno, per cui loro sono vissuti. E sono morti».
In contemporanea con il Guatemala la diocesi di Crema, che da anni intrattiene rapporti con la diocesi del Quiché anche grazie a numerosi missionari provenienti dal Cremasco, il vescovo Daniele Gianotti celebrerà alle 18 una Messa nella Basilica di Santa Maria della Croce.