L'appello. I sopravvissuti ai lager libici al Papa: «La nostra ultima speranza sei tu»
Uno dei giovani migranti in videocollegamento con l'Incontro mondiale dei movimenti popolari
“La nostra ultima speranza sei tu, papa Francesco e la Chiesa cattolica. Chiediamo umilmente il tuo aiuto e quello delle tue missioni diplomatiche nel mondo”. Per la prima volta migranti e profughi nel limbo libico non si sono sentiti soli. E oggi con i loro telefoni sono riusciti a collegarsi con l’incontro dei movimenti popolari tenutosi in videoconferenza.
A loro sono arrivate forti le parole del Pontefice. E si sono sentiti chiamati. “I migranti - ha detto il Papa -, le persone prive di documenti, i lavoratori informali senza reddito fisso si sono visti privati, in molti casi, di qualsiasi aiuto statale e impossibilitati a svolgere i loro compiti abituali, aggravando la loro già lacerante povertà. Una delle espressioni di questa cultura dell’indifferenza è che sembrerebbe che questo “terzo” sofferente del nostro mondo non rivesta sufficiente interesse per i grandi media e per chi fa opinione. Non appare”.
Ed è così che ci si sente nei campi di prigionia di Tripoli e per le strade della capitale libica, dove da giorni alcune centinaia di subsahariani fuggiti dalle carceri stanno inscenando una protesta contro il governo di Tripoli davanti all’ufficio dell’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr-Acnur).
“Molti di noi sono figli del genocidio in Darfur, molti sono rifugiati dall'oppressione, dal conflitto e dalla carestia in Eritrea ed Etiopia, e da altri luoghi. Inclusi donne incinte e bambini piccoli”, si erano presentati riassumendo le ragioni delle migrazioni forzate: “Siamo cristiani, e musulmani, di altre religioni e di nessuna religione, ma tutti confidiamo in lei, papa Francesco, come padre per questa umanità, e nella Chiesa cattolica come la sorella che aiuta questa umanità a costruire davvero la fraternità umana”.
Le parole di papa Francesco sono suonate come una risposta e come una conferma. Un appello e insieme un monito: “Voglio chiedere, in nome di Dio, ai fabbricanti e ai trafficanti di armi di cessare totalmente la loro attività, che fomenta la violenza e la guerra, spesso nel quadro di giochi geopolitici il cui costo sono milioni di vite e di spostamenti”.