Attualità

Gioia Tauro (Calabria). Al via lo sgombero della baraccopoli di San Ferdinando

Antonio Maria Mira giovedì 28 febbraio 2019

Un gruppo di braccianti intorno ai resti della capanna del giovane che ha perso la vita dopo l'incendio divampato nella baraccopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria), 16 febbraio 2019. ANSA/ MARCO COSTANTINO

Parte lo sgombero della baraccopoli di San Ferdinando. Oggi il sindaco del Comune della Piana di Gioia Tauro, Andrea Tripodi, ha emesso un'ordinanza per "l'immediato sgombero di persone e cose dall'area adibita a vecchia tendopoli per immigrati
extracomunitari di proprietà CORAP ex ASIReg ricadente nel Comune di San Ferdinando, per la bonifica e la demolizione di quanto intorno alla stessa abusivamente realizzato".
Toccherà eseguirla alle forze dell'ordine.

L'operazione dovrebbe scattare mercoledì prossimo ma già da oggi gli agenti sono presenti per spiegare cosa succederà agli oltre mille braccianti immigrati ancora presenti e per convincere chi ne ha diritto (ma non sono molti secondo il decreto sicurezza), ad accettare di spostarsi nei Cas e negli Sprar.

Un'offerta già respinta nei giorni scorsi perché vorrebbe dire allontanarsi dai luoghi di possibile lavoro, pur se in nero. Altre persone, assicurano, saranno ospitate nella nuova tendopoli realizzata nel 2017, che dovrebbe contenere non più di 500 persone. Basterà? Oggi tra gli immigrati c'era sconcerto e preoccupazione. Il sindaco nel nuovo documento ricorda di aver emesso già un'ordinanza di sgombero il 16 ottobre 2017 ma "alla data odierna la baraccopoli risulta nuovamente "edificata" e popolata abusivamente" E anzi, aggiunge, "permangono ed anzi risultano peggiorate le condizioni di vivibilità dell’area interessata dalla vecchia tendopoli (baraccopoli)".

In particolare, prosegue Tripodi, "negli ultimi 14 mesi si sono ripetuti gravi incendi, di natura dolosa o più probabilmente causati da stufe e accessori di fortuna utilizzati per riscaldarsi, che hanno causato la morte di tre ospiti e aggravato le condizioni di insalubrità dell’intera area, contribuendo ad esasperare gli animi degli immigrati che gravitano".

Ricordiamo che dopo la rivolta del 7 gennaio 2010 dei giovani africani che protestavano contro le violenze e lo sfruttamento della
’ndrangheta, dei caporali e degli imprenditori agricoli, venne realizzata nel 2011 una prima tendopoli. Doveva ospitare tra 500 e 700 persone ma poi è degradata, diventando una gigantesca baraccopoli, di legno, plastica e lamiere che arriva a contenere più di 2mila immigrati nella stagione della raccolta degli agrumi e delle olive tra ottobre e febbraio.

Una gravissima situazione, più volte denunciata da Avvenire, e che in poco più di un anno ha provocato tre morti in incendi, come ricordato dal sindaco. Moussa Ba, 28 anni, Becky Moses 26 anni e Suruwa Jaiteh 18 anni. Vittime del fuoco e dell’emarginazione. A loro va aggiunto Soumaila Sacko, 29 anni, sindacalista, ucciso a fucilate mentre raccoglieva alcune lamiere da una fornace abbandonata, materiale che gli doveva servire proprio per rendere la sua baracca più resistente al fuoco.

Ma non sono solo le fiamme i rischi di questo "non luogo". Dal 2017 è stata staccata l'elettricità che prima serviva la vecchia tendopoli, i bagni in container sono insufficienti e senza acqua calda, e ovunque cumuli di rifiuti. Così, ha scritto ancora il sindaco, "al fine di scongiurare gravi danni alla salute e all'incolumità pubblica, è necessario e urgente rendere l'area libera da persone e cose per poter consentire l'immediata rimozione dei rifiuti presenti, l'abbattimento delle vecchie tende e baracche e la successiva
bonifica e sanificazione dell'area".

Dove troveranno un tetto le persone che saranno sgomberate? Forse in qualche casolare diroccato nelle campagne, sempre più "invisibili". Sarebbe proprio il caso di utilizzare i 42 appartamenti, più di 250 posti letto. E altri 120 posti singoli. Tutti per gli immigrati. Nuovi, costruiti a Rosarno con fondi europei e del Viminale, 5 milioni di euro. Inutilizzati e in alcuni casi occupati abusivamente o vandalizzati. Ma nessuno ne parla neanche ora.