Lo sciopero per i rider / 7. Fattorini in bicicletta, l'alternativa che c'è
Mentre la procura di Milano indaga sul caporalato nel campo delle consegne a domicilio e su “Avvenire” continua la campagna dello «sciopero a tavola», ecco le buone pratiche da imitare per dare garanzie I contratti apripista dei sindacati e l’esperimento del colosso Domino’s Pizza in 23 punti vendita
L’indagine a tutto tondo aperta dalla Procura di Milano sui rider che consegnano cibo a domicilio ha riacceso un faro sul fenomeno dei ciclofattorini che lavorano con l’utilizzo di piattaforme elettroniche e sono privi di tutele minime e hanno paghe bassissime. In un editoriale del 20 settembre abbiamo proposto una riflessione sull'utilizzo di questi servizi. «Soprattutto per chiarire a noi stessi dove poniamo il nostro limite: quale trattamento dei lavoratori siamo disposti ad accettare, quando si tratta degli altri e non di noi? – ha scritto Francesco Riccardi –. Se consideriamo sfruttamento la mancanza di tutele minime (...), la nostra scelta non può che essere rinunciare. Almeno fin tanto che le compagnie di distribuzione non tratteranno in modo adeguato i loro dipendenti. Lo sciopero potremmo cominciarlo noi». È nata così sulle nostre pagine una campagna, “lo sciopero a tavola”, alla quale hanno partecipato personaggi del mondo della politica, della cultura e dello spettacolo. L’assessore comunale alla Mobilità di Milano, Marco Granelli, il giuslavorista Pietro Ichino, lo scrittore Gianni Biondillo, l’attore Giovanni Scifoni, le giornaliste Emanuela Falcetti e Flavia Perina, lo scrittore Sandro Veronesi, il presidente di Mcl, Carlo Costalli, il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra, il direttore dell’Osservatorio Bikeconomy, Anna Maria De Paola, la segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti, l’assessore al lavoro del Comune di Bologna, Marco Lombardo, il cantautore Edoardo Bennato e la scrittrice Caterina Bonvicini. Con impegni e proposte per migliorare la condizione dei lavoratori del cibo a domicilio. Senza dimenticare, però, che anche i consumatori hanno le loro responsabilità. (F.Ful.)
Un’altra via è possibile. Le tutele, se si vuole, si trovano. Basta applicare i contratti nazionali esistenti per invertire la rotta e trasformare i rider , simbolo del precariato senza diritti, in lavoratori come tutti gli altri. Con uno stipendio fisso, le ferie, la pensione e tutto il resto. Gli esempi positivi ci sono. Arrivano da Firenze, dove i sindacati confederali si sono mossi e hanno portato a casa due contratti apripista, ma anche dalla multinazionale della pizza americana, Domino’s Pizza che è approdata in Italia quattro anni fa e ha già 23 punti vendita. A maggio c’è stato il primo accordo, sottoscritto dalle segreterie territoriali di Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, che disciplina il lavoro subordinato per i rider in una azienda della provincia di Firenze: per loro un contratto a tempo indeterminato, quello della logistica, con diritti e tutele. L’azienda si chiama Laconsegna Srl, è attiva a Firenze da poco e si occupa di consegna cibo a domicilio per conto di ristoranti, pizzerie, paninerie.
I rider in organico, che si muovono in bici o scooter sulla base di direttive ricevute sullo smartphone, sono una ventina, presi dal bacino dei ciclofattorini fiorentini che già lavoravano per le grandi piattaforme. Ma nei piani a medio termine dell’azienda si ipotizza l’assunzione di 200 persone. «Con questo accordo, il primo nel panorama nazionale – spiegavano i sindacati al momento della firma – si afferma che i rider sono lavoratori subordinati. Soprattutto si stabilisce che il rischio d’impresa, legato alla vendita dei prodotti e alle conseguenti consegne, non è a carico dei lavoratori, bensì dell’impresa stessa. Dopo mesi di trattative siamo riusciti a far uscire tanti ciclofattorini dal lavoro nero, sottopagato o con forme contrattuali sbagliate». A luglio, sempre a Firenze, è arrivata la regolarizzazione di 200 rider da parte di Runner Pizza. I ciclofattorini sono diventati lavoratori dipendenti subordinati. Nata 25 anni fa la società è stata l’antesignana del food delivery italiano come lo conosciamo oggi. Anche in quein sto caso è stato applicato il contratto nazionale della logistica, affiancato da accordi di secondo livello.
Ai rider è stata riconosciuta anche l’anzianità lavorativa svolta come collaboratori, saranno pagati in base al contratto nazionale e non alle consegne, avranno riconosciute le ferie, la malattia, l’infortunio. Un punto essenziale è l’esclusione maniera categorica dei meccanismi di ranking per valutare i lavoratori. Un caso nazionale è diventato quello di Domino’s Pizza, colosso americano che ha alle spalle quasi 60 anni di vita, che ha scelto come filosofia aziendale l’assunzione di tutti i lavoratori, senza fare distinzione di ruolo. In ogni punto vendita lavorano in media venti persone, di cui 12-15 sono fattorini spiega il Ceo italiano Alessandro Lazzaroni sottolineando che si tratta di un «modello molto diverso da quello del food delivery. Tutto il personale è assunto a tempo pieno con il contratto del turismo e dei pubblici esercizi».
La media delle ore settimanali di lavoro dei rider, soprattutto a cottimo, con contratti a termine o addirittura stagionali
In primavera è partita una campagna di assunzioni per 300 persone. Il 60% degli ordini arriva dal web ma l’azienda creda molto sulla formazione. Chi inizia come rider può crescere e diventare responsabile di negozio in fretta. Negli Usa il 90% dei gestori dei ristoranti ha iniziato come fattorini. È già capitato anche a Milano dove i punti vendita sono parecchi. Il sogno americano.
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