La bimba inglese in stato di minima coscienza. La mamma: «Porterò Tafida in Italia»
Tafida Raqeeb è una bimba inglese di 5 anni in stato di minima coscienza da quando, lo scorso febbraio, è stata colpita da una grave emorragia cerebrale. È ricoverata al Royal London Hospital, dove i medici hanno comunicato alla famiglia l’intenzione di spegnere il respiratore che l’aiuta a vivere perché, dicono, morire è nel suo «miglior interesse». La famiglia, però, chiede di poterla trasferire all’Ospedale Gaslini di Genova, i cui medici l'hanno visitata a Londra e si sono detti disponibili ad accoglierla per assisterla e darle le cure necessarie.
E' tesa, arrabbiata, inflessibile, mentre seduta davanti al bel mare estivo di Genova, di fronte all’ospedale pediatrico Gaslini, riceve da Londra una telefonata allarmata dal marito: approfittando della sua breve assenza, i medici del London Royal Hospital hanno appena cercato di sottoporre la sua piccola Tafida a un nuovo esame, senza l’autorizzazione dei genitori e dei giudici. «Vogliono dimostrare che deve morire. Nessuno tocchi nostra figlia », comanda perentoria al cellulare, «nessuno la visiti in mia assenza». Poi mette giù e, con gli occhi colmi di angoscia, si lascia andare: «Lo vede? Questo è ciò che faccio tutti i giorni da mesi in Inghilterra: bloccare i medici che vogliono impedire a mia figlia di vivere ». La piccola Tafida Raqeeb, 5 anni, era il ritratto della salute fino all’alba del 9 febbraio, quando un’arteria scoppiata le ha provocato una devastante emorragia cerebrale lasciandola in uno stato di minima coscienza. Dopo soli tre mesi da quel giorno i medici inglesi già ingaggiavano una battaglia legale per sospendere le cure e staccare il respiratore alla bambina, contro il parere dei genitori, che hanno chiesto aiuto all’Italia e oggi attendono con ansia il parere dell’Alta Corte britannica per poter portare la piccola all’ospedale genovese, dove tutto è pronto per accoglierla. La lotta è ancora dura, ma se ieri in giornata Shelina Raqeeb, 39 anni, avvocato britannico di origini bengalesi, era in visita al Gaslini è proprio «per vedere dove verrà mia figlia ». Ad accompagnarla è Filippo Martini, vicepresidente dei Giuristi per la Vita, che fin dall’inizio tiene i rapporti tra la famiglia e l’Italia, mentre ad accoglierla è il direttore generale del Gaslini, Paolo Petralia, con l’équipe di medici che l’11 agosto al London Royal Hospital hanno visitato la bambina.
Signora Shelina, ancora non si sa come si pronuncerà l’Alta Corte il 9 settembre, se a Tafida sarà permesso vivere o se i giudici sentenzieranno che “il miglior interesse” per vostra figlia è la morte, ma questa sua visita lampo in Italia fa pensare che continuate a crederci.
Tra pochi giorni l’Alta Corte deciderà se possiamo, a spese nostre, portare nostra figlia in Italia, dove gli specialisti del Gaslini si sono offerti di curarla: per questo i medici di Londra sono nel panico e oggi hanno provato un colpo di mano. Si stanno comportando male, sono pronti a tutto, ma lo siamo anche noi: io e mio marito da sei mesi viviamo notte e giorno in ospedale con Tafida e sappiamo con certezza che lei riconosce la nostra voce, ci segue con lo sguardo, stringe la nostra mano, afferra i giocattoli. Vediamo piccoli miglioramenti, chiediamo solo di darle il tempo necessario.
da una petizione che chiede all’Alta Corte britannica di lasciare che la piccola Tafida continui a vivere, anche se in coma
200 I giorni trascorsi
da Tafida in ospedale attaccata al respiratore artificiale dopo una emorragia cerebrale, causata dalla rottura di un’arteria
Lei è un avvocato, suo marito un imprenditore nell’ambito dell’edilizia… Tutto questo fino a oggi vi ha aiutato?
Se io non fossi un avvocato, mia figlia sarebbe morta tre mesi fa. Sapersi difendere è importante in un Paese come l’Inghilterra, grande per tanti aspetti, ma alla deriva quando si tocca il tasto della sanità. Questo succede perché il sistema sanitario è sottofinanziato: non possono tenere in vita i disabili, i malati cronici sono un costo, devono buttare fuori zavorra. Nostra figlia non ha una malattia degenerativa, ha avuto un aneurisma, è grave ma stabile, che cosa ci impedisce di provare a curarla? Prima che capitasse a noi, non mi rendevo conto di cosa succede negli ospedali inglesi, sono scioccata, soprattutto dal silenzio indifferente con cui l’opinione pubblica accetta questo orrore. Mesi fa leggevo le battaglie dei genitori dei piccoli Alfie e Charlie per portarli in Italia, e non immaginavo che anche a noi sarebbe toccato. A quei due bambini è stata negata anche la piccola speranza di farcela… Tafida però ha ancora tutte le possibilità.
Che cosa le hanno detto oggi i medici del Gaslini?
Che dal punto di vista scientifico bisogna aspettare, darle tempo, sei mesi sono pochissimi per capire come sta reagendo e cosa si può fare per lei. Sono stupiti del fatto che i medici inglesi abbiano immediatamente optato per la sua morte.Mi hanno fatto visitare la terapia intensiva e l'hospice pediatrico, i due luoghi dove Tafida potrebbe essere curata. L'hospice è un'assoluta eccellenza, un caso pressoché unico, dove i piccoli pazienti transitano prima di tornare a casa ed essere assistiti domiciliarmente: nulla a che veder con il significato classico della parola hospice, che qui è inteso nel senso di "ospitalità".
Avvenire ha raccontato la storia di Giulia Brazzo, una ragazzina torinese che a causa di un aneurisma è caduta in uno stato vegetativo considerato irreversibile, eppure i genitori e i medici non hanno mai smesso di curarla e dopo sette anni si è svegliata. È un precedente importante.
Quando verremo in Italia vorrò incontrare questa ragazza e la sua mamma. Anch’io farò tutto il possibile per Tafida, lascerò la mia carriera di avvocato per stare con lei e stimolarla. Abbiamo pensato al Gaslini perché il figlio di un nostro amico, colpito da una malattia che in Inghilterra era considerata non trattabile, qui è stato curato e ora sta bene. In Italia a nessun ospedale verrebbe mai in mente di staccare il respiratore a un bambino che non è in morte cerebrale, che è vivo! Qui i medici lavorano con competenza e insieme compassione, nel Regno Unito giocano a fare gli dèi e nemmeno ammettono il diritto di portare il proprio figlio all’estero, è una questione di immagine: da una parte non vogliono passare per medici che non sono in grado di curare, dall’altra temono che l’Inghilterra sia vista ormai come il Paese dell’eutanasia dei piccoli. Siamo cittadini liberi, non chiediamo niente al governo inglese, né soldi né altro, vogliamo solo partire con nostra figlia, con che diritto potrebbero impedircelo? E' inaudito.
Voi siete credenti, di fede islamica. Quanto pesa questo sulle vostre scelte?
Ovviamente è importante, e sia la comunità islamica che i vescovi cristiani in Inghilterra si sono espressi con forza a nostro sostegno. Ma indipendentemente dalla religione, una vita è sempre una vita e va difesa, lo diremmo anche se fossimo atei. L’amore di un genitore è incondizionato, se Tafida restasse sempre così com'è oggi, continueremmo ad accudirla. Io combatterò e vincerò. Mia figlia, oggi presa in ostaggio dallo Stato e tenuta prigioniera senza colpa, verrà rilasciata.
I Giuristi per la Vita sperano di far avere alla bambina la cittadinanza italiana.
Se così fosse, la vostra ambasciata potrebbe fungere da giudice tutelare e per Londra sarebbe difficile far morire una paziente non più inglese. Quando Tafida sarà libera, molti altri genitori potranno pretendere di curare i loro figli oggi condannati a morte. Ricordo il caso famoso dei due genitori arrestati per aver portato di nascosto il bimbo in Portogallo: hanno subìto di tutto ma hanno vinto, il bambino ora sta bene.
Un’ultima occhiata al mare di Boccadasse prima di riprendere l’aereo per Londra, e finalmente il primo sorriso sul suo volto: «A Tafida piacerà, la porteremo a nuotare», promette guardando lontano. Qualcuno le ha messo in mano un’immagine di Maria da portare alla sua bimba, e Shelima la ripone con cura in borsetta: «Maria ha sofferto tanto per suo figlio», mormora, «…Maria era una madre».