Ocean Viking. Richiesto un porto sicuro. Nelle parole dei salvati l'orrore della Libia
A bordo della nave Ocean Viking si è in attesa di un porto sicuro, in linea con le Convenzioni internazionali che riguardano il soccorso in mare: dopo le 21 di domenica sera dalla plancia di comando della nave di Medici senza Frontiere e Sos Mediterranee è stata inviata la richiesta alle autorità competenti. Una email indirizzata alle centrali di soccorso, in particolare l'Mrcc de La Valletta e di Roma, la cui risposta potrebbe sbloccare il destino delle 104 persone a bordo soccorse venerdì scorso.
Tripoli era già stato indicato come porto di approdo dalla cosiddetta Guardia costiera libica, ma è stato rifiutato dalla Ocean Viking, non considerato sicuro dall'Onu e dalle leggi che regolano il diritto del mare. E che la Libia faccia orrore al solo ricordo, lo si capisce ascoltando le testimonianze dei sopravvissuti: dopo il primo giorno di cure e riposo sulla nave umanitaria, le forze lentamente riaffiorano e con loro le parole: "E' più facile morire in mare che vivere in Libia - ha raccontato uno dei giovani soccorsi proveniente dalla Costa d'Avorio -: lì siamo come merce di scambio: sono stato venduto per 2000 dinari libici", (circa 1.300 euro, ndr). L'orrore è personale, è indiretto, è tutto intorno: si vedono gli amici infilati in dei buchi nel pavimento e picchiati a sangue, in altri casi cosparsi di benzina, incendiati e lasciati là a morire, senza cure né medicine, come ha raccontato un altro dei sopravvissuti alla prigione di Bani Walid. E cosa succede alle sorelle? Alle madri? Alle mogli? All'interno dei centri di detenzione i carcerieri "fanno quello che vogliono delle donne".
Dowatier è uno dei giovani della Costa d'Avorio che ce l'ha fatta: dopo tre tentativi in gommone, la detenzione a Beni Walid e Sabha e dopo esser uscito vivo dagli assalti alle gip dei guerriglieri in Mali. "C'erano tre gip per attraversare il deserto e raggiungere l'Algeria: una ha avuto un'incidente e tutti sono morti, sulla seconda altre 5 persone sono morte, sulla terza altri 4 ragazzi hanno perso la vita". "Quando sono arrivato a Ghat, vivo - ha proseguito il giovane -, ho chiamato a casa le mie sorelle e loro hanno urlato di gioia". Allora non immaginavano quanto dolore Dowatier avrebbe dovuto sopportare in quei tre anni di violenze e torture passati in Libia, prima di farcela finalmente, dopo il terzo tentativo con il gommone. Grazie all'intervento questa volta non della cosidetta Guardia Costiera libica, bensì di una nave umanitaria, quella di Msf e Sos Mediterranee che 24 ore fa ha ribadito la sua richiesta ufficiale di un place of safety per far approdare a terra, in sicurezza Dowatier e gli altri 103 soccorsi.
Fleur e le altre donne sole soccorse sulla Ocean Viking: le loro testimonianze
Le partenze nel Mediterraneo centrale, nel frattempo, non si sono fermate e di riflesso era salita anche la tensione nell'equipaggio della Ocean Viking che fino a domenica aveva continuato a pattugliare le coste libiche, prima di puntare lo scafo verso Nord, per posizionarsi tra Malta e Lampedusa e attendere istruzioni. Nella notte di domenica Alarm Phone, il call center informale che raccoglie le chiamate di emergenza dei gommoni in distress in mare, aveva diramato la posizione di un'altra barca in avaria che si trovava a circa 70 miglia a Nord dalla Ocean Viking, troppo distante per arrivare in tempo a prestare soccorso. La conferma, triste per il destino delle persone a bordo, è arrivata - come spesso accade nell'assenza totale di coordinamento dei soccorsi in mare - solo 10 ore dopo. Entrambi i gommoni intercettati dalla cosiddetta Guardia costiera libica: a bordo del primo 126 persone migranti, tra cui 4 donne e 4 minori, a 50 miglia a Nord Est di Garabuli, mentre sull'altro altri 89 profughi che si trovavano a 75 miglia a Nord Est di Khoms sono stati ugualmente intercettati e riportati indietro in quello stesso inferno libico fatto di torture e violenze, raccontato dai 104 salvati dalla Ocean Viking.